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letteratura tedesca

Jakob Wassermann, “Caspar Hauser o l’ignavia del cuore”

JAKOB WASSERMANN – Caspar Hauser o l’ignavia del cuore – B.U.R.

caspar_hauserIl 26 maggio 1828, lunedì di Pentecoste, in una piazza di Norimberga, avviene un fatto strano e inquietante, destinato a suscitare una morbosa curiosità, prima tra gli abitanti della città, e poi in tutto il Regno di Baviera, a generare una quantità di ipotesi interpretative da parte di uomini di legge e di cultura, e a tramutarsi in seguito in fertile fonte di ispirazione per molti scrittori, diventando un caso la cui eco è giunta fino alla nostra epoca (è del 1974 il film “L’enigma di Kaspar Hauser”, scritto e diretto da Werner Herzog). In pieno pomeriggio, in quella piazza, compare dal nulla un ragazzo dall’apparente età di sedici anni, vestito con abiti contadini. Il ragazzo si muove con un portamento da ubriaco, non riesce a stare diritto e fatica a muovere i piedi che appaiono feriti e ulcerati. Si guarda intorno, spaesato e meravigliato, come se vedesse il mondo per la prima volta, con gli occhi socchiusi per proteggersi dalla luce. Piange ed è affamato, ma rifiuta con orrore e ribrezzo cibi e bevande, tranne il pane nero e l’acqua. Si esprime con pianti, grida di dolore e suoni incomprensibili, pronunciando un’unica frase di senso compiuto, che ripete in modo ossessivo, come un ritornello: “Diventare cavaliere, come mio padre”. Così compare dal nulla Kaspar Hauser, l’enigma vivente destinato a diventare tanto popolare da essere chiamato “il Fanciullo d’Europa”, e al nulla ritorna in modo altrettanto misterioso, nel 1833, quando viene pugnalato a morte da uno sconosciuto nella cittadina bavarese di Ansbach, dove è sepolto. Sulla sua lapide si legge: “Qui riposa Kaspar Hauser, enigma del suo tempo. Ignota la sua origine, misteriosa la sua morte”.

Solo cinque anni dunque di vita “ufficiale” che vedono il povero ragazzo diventare oggetto, oltre che di curiosità, anche di pietà per la commozione che quella sorta di innocenza che emana da lui suscita nelle persone. Kaspar Hauser non finisce perciò col fare lo stalliere o il servo presso qualche ricca casa, ma diventa il pupillo di persone altolocate che si prendono cura della sua salute e della sua educazione, con l’intento di scoprire la sua origine e di svelare il mistero in cui è immersa. Primo fra tutti, il Consigliere di Corte d’appello Anselm von Feuerbach che, non solo si affeziona al ragazzo e si occupa della sua istruzione, ma che, nel 1832, pubblica la sua storia, una appassionata indagine sul caso che sembra ormai interessare l’opinione pubblica dell’intera Europa. Il libro, dal titolo “Kaspar Hauser, un delitto esemplare contro l’anima” (disponibile in versione italiana nell’edizione Adelphi), è una dettagliata e documentata relazione che ricostruisce l’intera vicenda del ragazzo, avvalendosi dei ricordi che man mano emergono dalla sua coscienza. Si viene così a sapere che il giovane ha trascorso gli ultimi dodici anni della sua vita rinchiuso in una buia cella, incatenato al pavimento, nutrendosi di pane e acqua, nel silenzio più assoluto. Feuerbach è consapevole che per molti Kaspar è solo un impostore che simula e mente, ma lui è convinto che si tratti invece di un rampollo principe di Baden, vittima sacrificale di intrighi dinastici: “Kaspar Hauser è il figlio legittimo di genitori di rango principesco, che qualcuno ha tolto di mezzo per permettere la successione ad altri, ai quali egli era d’intralcio”. Impressionante è il fatto che l’anno successivo la pubblicazione del libro, il lunedì di Pentecoste del 1833 (ricorrenza dell’apparizione di Kaspar Hauser), Anselm von Feuerbach muoia improvvisamente dopo un malore, manifestando tutti i sintomi di un avvelenamento da arsenico (prima di morire annota su un foglio: “Mi hanno dato qualcosa”). Il 14 dicembre dello stesso anno, Kaspar Hauser viene assassinato. Ovviamente l’enigma non è stato mai risolto, e probabilmente mai lo sarà – sulla vicenda, come afferma Walter Benjamin nella postfazione al volume adelphiano, esiste nell’Archivio di Stato di Monaco una documentazione raccolta in ben 49 volumi – ma è indubbiamente una materia “letteraria” per eccellenza. Un trovatello che non parla e non capisce e che possiede la selvatichezza innocente e incontaminata del primo essere della sua specie, che però nel giro di qualche mese impara a scrivere e a dipingere, rivelando un animo sensibile e buono, è il protagonista perfetto per una rielaborazione romanzesca. Jakob Wassermann, definito da Thomas Mann “favoleggiatore di sangue e d’istinto”, costruisce intorno alla vicenda misteriosa di Kaspar Hauser il romanzo che, pubblicato nel 1908, decreta il suo primo trionfo e sancisce la sua maturità di scrittore. Sceglie come sottotitolo “L’ignavia del cuore”, rielaborando a suo modo la sintetica definizione data da Anselm von Feuerbach alla triste storia di Kaspar, “Un delitto esemplare contro l’anima”. D’altra parte, Wassermann conosce bene il libro di Feuerbach, che gli offre una grande abbondanza di materiali, documenti, personaggi e spunti narrativi. L’ignavia del cuore, l’inerzia del cuore è ciò di cui cade vittima Kaspar Hauser, a cui tenta di sfuggire, ma alla quale, alla fine, soccombe. Kaspar Hauser è uno dei più celebri personaggi di Wassermann, un soggetto che si addice perfettamente al suo modo di intendere la letteratura, a quel territorio favolistico, metaforico, ma anche velatamente autobiografico, in cui trovano la loro origine i suoi romanzi. Kaspar Hauser, come Donna Giovanna di Castiglia (protagonista della novella omonima, pubblicata due anni prima) e lo Junker Ernst (del romanzo “Il tumulto intorno allo Junker Ernst”, pubblicato nel 1926) sono vittime della società. Sembra quasi che Wassermann scelga le vicende che li riguardano, inventate o rielaborate a partire da spunti storici, per rappresentare il male che affligge la società, come se fosse un peccato mortale e quindi originario e inestirpabile, quella ignavia del cuore, appunto, l’inerzia del cuore, che rende gli uomini ciechi e sordi, incapaci di vedere e dei sentire il dolore degli altri. E’ l’ignavia del cuore che permette alla malvagità e all’ingiustizia di trionfare. Il Kaspar Hauser di Wassermann è la vittima predestinata di tutto ciò, che l’autore accompagna attraverso il lento compiersi del suo destino. E’ ammantato da un’aura favolistica questo giovane (che assomiglia moltissimo allo Junker Ernst e che richiama alla memoria il mito di Rousseau), questo buon fanciullo così candido e ingenuo, incorrotto nonostante tutto il male che gli è stato fatto e che, improvvisamente immerso nella società “cosiddetta” civile, fa emergere con la sua sola presenza l’odio e la superstizione che, più o meno apertamente, la caratterizza. Favola che è anche velatamente autobiografica, se non negli accadimenti, certo nelle suggestioni che evoca, perché la frequenza con cui Wassermann ripropone nella sua opera questi personaggi disadattati, incompresi e, in fondo, rifiutati, nasconde forse una ferita lontana che risale alle tristi vicende della sua difficile infanzia e alle sue origini ebraiche: la società tedesca, già allora, difficilmente perdonava la “grave colpa” di essere, contemporaneamente, povero ed ebreo. Fatto sta che in questo lungo romanzo il candore e la bontà, unite ad una straordinaria sensibilità, condannano Kaspar Hauser a patire grandi sofferenze e incomprensioni, ad essere continuo oggetto di sospetti e maldicenze. Leggendo queste pagine, non si può non ripensare, anche se il paragone appare inopportuno e soprattutto sommamente ingiusto, al più grande personaggio “buono in assoluto” di tutta la letteratura, il Principe Myskin, l’idiota, a proposito del quale lo stesso Dostoevskij scrive in una lettera del 1867 (due anni prima della pubblicazione del romanzo): “Da tempo mi tormentava un’idea, ma avevo paura di farne un romanzo, perché è un’idea troppo difficile e non ci sono preparato, anche se è estremamente seducente e la amo. Quest’idea è raffigurare un uomo assolutamente buono. Niente, secondo me, può essere più difficile di questo, al giorno d’oggi soprattutto”. Un’idea tanto seducente quanto difficile, che la penna e il genio di Dostoevskij realizzano creando un personaggio assolutamente buono, che risplende e si impone, trasformando la diversità e la malattia in chiaroveggenza. Nella penna di Wassermann il buon fanciullo soccombe, invischiato nei lacci della curiosità morbosa, dell’ipocrisia e della menzogna.

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Giulia
10 years ago

A questa storia dunque si ispirava la regia dell’ultimo Lohengrin scaligero… grazie per avermi fatto conoscere più nel dettaglio questa vicenda triste e misteriosa, davvero ideale materia per un romanzo!

Giulia
10 years ago

Dalla descrizione che ne fai, mi sembra un miscuglio di tematiche molto interessante! Lo stile è sempre influenzato dalla traduzione, chissà com’è l’orginale… a volte una cattiva traduzione può rovinare il più bello dei libri.

Qries