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letteratura portoghese

Mario De Sa-Carneiro, “Dispersione”

MARIO DE SA-CARNEIRO – Dispersione – Einaudi

decarneiro-dispersione“Io non sono io né sono l’altro,/ sono qualcosa di intermedio:/ pilastro del ponte di tedio/ che va da me all’Altro.”

C’è nei versi di questo giovane poeta, giovane per sempre, una disperazione lancinante, a tratti atroce, sempre in qualche modo colta e trattenuta sulla soglia del lamento, una disperazione non certo rassegnata o negata, che però si osserva e, osservandosi, trova il modo di dosare se stessa, di rifrangersi in mille immagini, di mostrarsi dimessa o parata a festa, di muoversi elegante e drammatica, di disperdersi per permeare di sé tutti gli angoli di una vita e negare ogni possibile illusione o speranza. “Dispersione” è appunto il titolo di una delle raccolte di poesie contenute nella presente edizione, quelle scritte dall’autore a Parigi nei due anni precedenti il suo suicidio. Un povero giovane inquieto, inabissato nell’ansia, smarrito nel labirinto di se stesso, senza oggi né domani, incapace di provare nostalgia per il proprio passato, ma solo per ciò che non è stato (“Ah, quanta nostalgia/ dei sogni che non sognai!”), che sente avvicinarsi la propria morte – la dispersione totale – e prova pena per sé, così privo di legami o di passi da seguire, che cerca continuamente nella poesia le parole che, uniche, possano realmente dire il dolore, donandogli almeno una sicura esistenza: “Mi cade nell’anima il crepuscolo;/ io fui qualcuno che passò”; un povero e grande giovane, troppo lucido per non perdersi: “Ho smarrito morte e vita,/ e, pazzo, non impazzisco”.

 Ho appreso della sua esistenza anni fa, leggendo “Suicidi esemplari”di Enrique Vila-Matas; il libro si conclude riportando un brano tratto da una delle ultime lettere del poeta portoghese Mario De Sa’ Carneiro  al suo “amigo de alma” Fernando Pessoa, in cui gli annuncia la sua intenzione di suicidarsi: “Ma ora non facciamo più letteratura. Con questo stesso corriere (o domani) ti mando, a mezzo raccomandata, il mio quaderno di versi, che conserverai, e del quale potrai disporre per qualsiasi fine come fossi io stesso […]. Addio. Se domani non riesco a ottenere la stricnina in dosi sufficienti, mi butterò sotto il metrò… Non ti arrabbiare con me.” (Lettera del 31-3-1916). Poiché nel suo libro Vila-Matas finge la cronaca di dieci ignoti suicidi che, in dieci città diverse, perfezionano, togliendosi la vita, l’arte di scomparire, fedele alla sua natura di scrittore amante dell’immaginario e del labirinto narrativo, ho inizialmente creduto che anche questa pagina facesse parte del gioco. Invece Mario De Sa’-Carneiro è esistito veramente, coetaneo, intimo amico e corrispondente di Fernando Pessoa, ha veramente concluso la sua breve vita a ventisei anni a Parigi, all’Hotel De Nice, indossando il frac e ingerendo un flacone di stricnina, scegliendo questa morte in un certo senso più letteraria dopo aver meditato di gettarsi sotto il metrò.

Ho reperito con una certa difficoltà l’edizione italiana delle sue poesie, curata e tradotta da Maria Josè De Lancastre, la moglie di Antonio Tabucchi, al quale si deve la conoscenza e la diffusione in Italia dell’opera di Fernando Pessoa. La stessa De Lancastre è anche curatrice di una raccolta delle lettere di Sa’-Carneiro a Pessoa, dal titolo “Meu amigo de alma”, uscita nel 1984 presso Sellerio. Oltre a “Dispersione”, il volume comprende la raccolta “Indizi di oro”, uscita postuma nel 1937, e le ultime poesie (l’ultima, “Fine”, è del febbraio 1916, pochi mesi prima della morte dell’autore), è introdotto da uno scritto della curatrice, “Fra lune bionde”, e si conclude con il “Ricordo di Mario De Sa’-Carneiro”, scritto dallo stesso Fernando Pessoa. Poco più di un centinaio di pagine splendide e ricchissime che regalano al lettore i versi di un giovane acuto, ironico, sensuale, immerso nel furore e nella disperazione; una luce ulteriore per penetrare nelle anime segrete di Pessoa e, infine, la competenza e la passione di una studiosa, anche intellettualmente così vicino a Tabucchi (avendo anche collaborato con lui nella cura dei volumi di Pessoa “Una sola moltitudine I e II” e “Poesie di Alvaro de Campos”, pubblicati da Adelphi).

Parigi è l’esilio dorato scelto dal giovane poeta, l’affascinante sirena di cui subisce il fascino e in cui si perde; scrive i suoi versi ai tavolini dei caffè del Boulebard Des Italiens e di Place de l’Opéra, immerso nella folla della capitale, nel centro esatto di tutte le nuove correnti artistiche e letterarie del primo Novecento; capta con la sua sensibilità ogni tipo di stimolo e intanto alleva dentro di sé la sua depressione. E scrive, lettere e versi, le lettere al suo amico Fernando Pessoa e quei versi che manderà sempre a lui prima di suicidarsi, quasi come lascito e, sicuramente, come segno di riconoscimento spirituale. Le lettere sono la prosa del tedio e i versi lo rivestono, lo decantano, lo fanno brillare di oro falso. “Mi creda, mio caro Fernando, è inutile avere illusioni: io sto toccando la fine: una fine tutta drappi e bandiere, ma sempre una fine. Sono già finito, sono finito fin dal mio arrivo. Oggi sono la mummia di me stesso. Sono privo di stati d’animo, né potrebbe essere altrimenti perché dentro di me c’è del cotone idrofilo (il cotone idrofilo degli animali imbalsamati)” (Lettera del 13 luglio 1914). E quindi: “Solo di oro falso s’indorano i miei occhi;/ sono sfinge senza mistero nel ponente./ La tristezza delle cose che non furono/ è scesa nella mia anima velatamente”. Le sue poesie attingono ai materiali simbolisti e futuristi, si distendono su fondali fatti di pietre preziose e di colori accesi, di immagini voluttuose, profumi e droghe che rendono, per contrasto, ancora più desolata la voce dimessa della consapevolezza amara: “Sono stella ubriaca che ha perduto i cieli,/ sirena pazza che ha lasciato il mare;/ tempio senza dio, ormai pericolante,/ statua falsa ancora eretta al vento…”. Sa’-Carneiro sa di essere condannato da una psicologia distorta che ha bisogno di colpire e di “fare le capriole”, sa di avere l’anima di un triste clown e sceglie una morte consona alla sua poesia.

Dell’edizione completa della sua opera si occuperà Fernando Pessoa che, nel “Ricordo” che chiude il volume, dice di lui: “Genio nell’arte, Sa’-Carneiro non ebbe né l’allegria né felicità in questa vita. Soltanto l’arte, che creò o che provò, potè dargli la consolazione di un momento. Sono così coloro che gli dei elessero loro pari. L’amore li rifiuta, la speranza li ignora, la gloria non li accoglie. Muoiono giovani, o sopravvivono a loro stessi, cittadini dell’incomprensione o dell’indifferenza. Mario morì giovane perché gi dei lo amarono molto. […] Non nasce nulla di grande che non nasca maledetto; non cresce nulla di nobile che crescendo non appassisca. Se così è, così sia!”. E forse, scrivendo queste parole, pensava anche a se stesso.

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giovanni baldaccini
10 years ago

senza di te molti libri non esisterebbero. Grazie

Fabio Berlanda
Fabio Berlanda
5 years ago

Splendido articolo di un poeta che vorrei arrivare a conoscere. Purtroppo, al momento, trovare questo libro sembra impossibile (vedo solo qualcosa online a prezzi folli): invidio tantissimo il fatto che tu lo possegga!

Qries