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Johnson, “Un viaggio a Klagenfurt”

UWE JOHNSON – “Un viaggio a Klagenfurt” – SE

viaggio-a-klagenfurt“Chi ammira con gli occhi la bellezza/ è già consegnato alla morte” (August Von Platen)

Sembra che fossero tra i versi prediletti di Ingeborg Bachmann, di questa poetessa così apprezzata da tanti grandi scrittori suoi contemporanei, la cui tragica, prematura e anche assurda morte, avvenuta a Roma il 17 ottobre 1973, li ha lasciati orfani di una voce tanto ammirata e amata. Mi piace molto la poesia della Bachmann e, se questa espressione avesse senso, non esiterei a definirla in assoluto la mia poetessa preferita, e uno dei miei poeti preferiti. Un’affezione che ha richiesto tempo e riletture, un po’ per l’inevitabile ostacolo rappresentato dalla traduzione, un po’ perché i versi della Bachmann non affidano certo la loro bellezza alla immediatezza; i suoi versi sono, sempre, un percorso sofferto che conduce ad abbaglianti e improvvise rivelazioni, attraverso strade anguste, costellate di ostacoli a prima vista insormontabili. La Bachmann è una poetessa colta, raffinata, complessa, dotata di un’anima estremamente sensibile che si ammanta della sua fragilità e ne fa un espediente per forzare il lessico abituale e prevedibile, per costringere le parole ad intraprendere un viaggio verso un’impossibile verità, “in cerca di frasi vere”, sull’onda di una musicalità spezzata, dissonante, sempre sorprendente. Mi piace molto la poesia della Bachmann e mi piace trovare una conferma a questa mia affezione nelle parole che i grandi scrittori tedeschi a lei contemporanei le hanno dedicato anche, ma ovviamente non solo, in occasione della sua morte improvvisa. Definirli necrologi mi appare riduttivo, si devono considerare piuttosto attestazioni di ammirazione e di rimpianto, dichiarazioni d’amore, tentativi per elaborare il dolore di un lutto.

Qries
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Johnson, “Schizzo di un infortunato”

UWE JOHNSON – “Schizzo di un infortunato” – SE

“Non è tempo per storie in prima persona”

Un avvicinamento. Riscontri, riconoscimenti e suggestioni. Questo libro rappresenta il mio personale avvicinamento all’opera di Uwe Johnson, o meglio, al pianeta Johnson, data l’importanza che la sua immensa tetralogia, “I giorni e gli anni”, riveste nella letteratura tedesca del secondo dopoguerra. Un avvicinamento ricco di riscontri e di suggestioni. La prima nasce dalla bellissima foto riportata in copertina, che ritrae l’autore seduto in completa solitudine sullo sfondo di una brughiera, in una posa e in un atteggiamento che, inevitabilmente, mi riportano al mondo di Arno Schmidt, alla sua faunesca solitudine, alla sua prosa frammentaria, poetica, fortemente innovativa, a quel suo modo, assolutamente personale, di obbligare il lettore a collaborare come parte attiva alla costruzione del suo mosaico narrativo. Una suggestione visiva quindi, confortata però anche dalla consapevolezza, per ora solo iniziale, ma che spero di poter approfondire con le mie future letture, che Arno Schmidt, Uwe Johnson e Walter Kempowski rappresentano tre delle voci più geniali della pur ricca produzione letteraria tedesca del secondo novecento.

Qries