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PETER HANDKE, “Pomeriggio di uno scrittore”

PETER HANDKE, “Pomeriggio di uno scrittore”, Guanda
Traduzione di Giovanna Agabio

“Ogni parola che, non parlata, bensì in forma di scrittura, annunciava la prossima, gli faceva tirare un sospiro di sollievo e lo ricollegava al mondo; soltanto con questo felice annotare per lui cominciava il giorno, e poi, così comunque pensava, fino al mattino seguente poteva anche non accadergli più nulla.”

In un pomeriggio inoltrato di inizio dicembre, uno scrittore si alza dalla sua scrivania ed esce di casa. Attraversa il suo giardino, esce dal cancello e si dirige verso la città. Evita la ressa, attraversa i cortili interni, sbuca nella piazza vicina al fiume, percorre il ponte e raggiunge il ristorante sulla riva. Sfoglia i giornali, beve un bicchiere di vino e osserva a lungo gli uccelli che volano sull’acqua. Poi esce dal locale e si dirige fuori città attraverso un vicolo molto animato che termina su una strada carrozzabile. Decide di raggiungere la periferia e lungo la strada soccorre insieme ad altre persone una donna anziana in difficoltà. Al limite della città siede al coperto sulla panca di una fermata dell’autobus, poi entra in una trattoria che lui chiama “la bettola” e osserva a lungo e con grande attenzione i vari avventori. Torna verso il centro della città, entra in un bar dove ha un appuntamento con un traduttore. Infine torna a casa e termina la sua giornata.

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Peter Handke, “Prima del calcio di rigore”


PETER HANDKE – Prima del calcio di rigore – Feltrinelli

prima del calcio di rigore“Di colpo tutto ciò che lo circondava gli riusciva insopportabile. Si chiese se si fosse svegliato proprio perché a un determinato momento, cioè poco prima dell’alba, tutto diventava di colpo insopportabile. Il materasso su cui giaceva era avvallato, gli armadi e i cassettoni stavano a grande distanza contro le pareti, il soffitto sopra di lui era insopportabilmente alto. C’era tanto silenzio nella stanza semibuia, fuori nel corridoio e soprattutto fuori sulla strada, che Bloch non ce la fece più. Una violenta nausea lo afferrò”.

L’ansia del portiere, la sua paura prima del calcio di rigore, a questo allude il titolo originale di un romanzo con il quale Handke stravolge, declinandolo con modalità del tutto inedite, un racconto che all’apparenza potrebbe ascriversi al genere poliziesco, o meglio, al thriller. E’ una questione di sguardo e quello dello scrittore austriaco è sempre esageratamente aperto sulla realtà, con una visione talmente nitida da renderla estraniante, ma anche esageratamente attento a cogliere le tracce di quella oscurità interiore che rende il vivere enigmatico e inquietante. “Quei suoi occhi da poeta, da mistico, da fantasma, da angelo sullo spettacolo fuggevolissimo ed eterno del mondo”, per usare alcune delle parole che gli dedica Chiusano in “Literatur”.

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Peter Handke, “La donna mancina”

PETER HANDKE – La donna mancina – Garzanti

la donna mancina“Aveva i capelli castani e degli occhi grigi che anche quando non guardava nessuno talvolta si riempivano di luce, senza che per questo il suo viso avesse a mutare”.

Marianne è enigmatica e chiusa intorno al tesoro della propria interiorità, netta e pura come un cristallo che riflette e assorbe ciò che la circonda, rifrangendolo in mille luminosi frammenti, così come puro, di una purezza cristallina, netto come la luce invernale che lo inonda, è questo breve romanzo di Handke. Marianne è la donna imperscrutabile che pure attira a sé chi incrocia i suoi passi, così come estraniante ma al contempo avvincente è la prosa che la vede protagonista. Marianne si chiama fuori dal gioco delle abitudini, degli schematismi e delle sicurezze psicologiche, e facendolo entra in un mondo a latere, dove la solitudine – scotto da pagare – è una condizione difficilmente sopportabile che però regala un’inedita visione delle cose, “una accresciuta forma di realtà” che rende tutto in un certo senso più vicino, più a portata di mano, così che le cose risultano sbalzate dal loro sfondo abituale e, finalmente, tutte indistintamente degne di attenzione.

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Peter Handke, “La notte della Morava”

PETER HANDKE – La notte della Morava – Garzanti

“La notte della Morava”, uscito in Germania nel 2008, non è l’ultimo romanzo di Handke, ma possiede tutte le caratteristiche dell’opera definitiva: le sue pagine sono il resoconto poetico di una vita, la riscoperta e la rilettura di un’origine e di una appartenenza, il canto di una balcanicità perduta, la lotta all’ultimo sangue condotta fino al rifiuto, fino al silenzio, contro la scrittura, contro un destino e una vita ad essa dedicati. E ancora: un pellegrinaggio a tappe verso luoghi e paesaggi dell’anima, un viaggio interiore nella memoria e nella consapevolezza della propria essenza e poi il bilancio di un amore, così conturbante e violento da essere desiderato, ma innumerevoli volte rifiutato e avvertito come un pericolo. Handke, che è uno scrittore esigente con i suoi lettori, con il suo stile ostico, spesso criptico, con le sue favole metafisiche, con quegli sprazzi di poeticità così rari, improvvisi e avari che sembrano evitare di proposito qualsiasi possibilità di condivisione o di riconoscimento, con questo romanzo li travolge letteralmente, concedendo loro l’accesso ad una materia narrativa fantastica ma anche evidente trasposizione di esperienze e memorie reali, oltretutto strutturata in modo geniale ed accattivante, in grado di mantenere uno schermo, una sorta di residua distanza tra l’autore e la narrazione e quindi tra l’autore e il lettore.

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