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letteratura italiana

Bellezza, “Poesie. 1971 – 1996”

Dario Bellezza“Poesie. 1971 – 1996” – Oscar Mondatori

“I poeti animali parlanti
sciagurano in bellezza versi
profumati – nessuno li legge,
nessuno li ascolta. Gridano
nel deserto la loro legge di gravità.”

Dario Bellezza è uno dei grandi poeti del secondo Novecento italiano che non deve essere dimenticato e che merita di essere letto e conosciuto in quest’epoca così avara nel nostro paese di voci autonome, inconfondibili, capaci di rinnovare la tradizione della nostra poesia, anche a costo di sofferte infrazioni e trasgressioni.

Bellezza nacque a Roma nel 1944 e lì trascorse gran parte della sua esistenza. Cominciò giovanissimo a scrivere poesie, portò i suoi primi versi a Enzo Siciliano che lo fece conoscere a Moravia, di cui fu amico molto affezionato, e a Elsa Morante alla quale fu legato da un’amicizia tumultuosa e che definirà di volta in volta nelle sue poesie maestra – madre – amante. Fu amico affettuoso e ammirato di Penna, Palazzeschi e Anna Maria Ortese. Per alcuni anni si occupò della corrispondenza di Pier Paolo Pasolini che, nel primo libro pubblicato da Bellezza, lo salutò come “il miglior poeta della sua generazione”. Si occupò di editoria e di giornalismo. Collaborò con recensioni, interviste, interventi polemici a “Paese sera”, “Il Tempo illustrato”, “Il Mattino”, “L’Espresso” e a vari quotidiani e riviste. Fu autore di otto libri di poesia, nove romanzi e di alcuni testi teatrali in versi. Nei suoi ultimi anni si occupò di politica ambientale, dei diritti del malato e del disarmo nucleare. Ebbe nel 1976 il Premio Viareggio per la poesia. Fu protagonista, fin dalla pubblicazione dei suoi primi libri, della scena letteraria italiana e non perse, fino alla fine, la sua forza di diverso e di ribelle. Morì a Roma, dopo una lunga e soffertissima malattia, nel 1996. Bellezza fu una presenza inquietante nella scena letteraria e culturale dell’epoca, un talento complesso, un uomo pieno di temperamento. Enzo Siciliano, in un ricordo apparso subito dopo la sua morte scrive: “Bellezza viveva la sua stigma sociale come fosse l’ermellino del re Sole. Era sardonico e tenero, infelice, terroristico, penitenziale e sfrenatamente prodigo, sapeva ridere di sé, ma cadeva anche nelle sue stesse trappole, come fosse stato le mille miglia lontano da sé”.

La presente edizione, curata e introdotta da Elio Pecora, contiene un’ampia scelta delle poesie di Bellezza, tratte dalle più importanti raccolte della sua maturità artistica. La scelta segue il criterio cronologico e accompagna il lettore fino all’ultimo testo del poeta, scritto nel 1996, anno della sua morte. Sono presenti tutti i temi cari all’autore, o meglio, le sue ossessioni, continuamente dilatate; e sono presenti tutte le sue cifre stilistiche, la satira, la sciattezza e il sublime, la tenerezza e la rabbia, il comico che diventa tragico e viceversa. Tutte le sue poesie sono affollate di persone e di oggetti; i luoghi sembrano lo scenario e il fondale di un dramma; gli eventi sono quelli di una quotidianità disperata ma anche amata: odori, tanfi, colori, stanze, vicoli, piazze, le ore della notte e del mattino, i mercati chiassosi, i volti intravisti, corpi inseguiti, risvegli cupi, insonnie temute. Bellezza riversa nelle sue poesie una vita fatta di affanni, ma anche di innamoramenti, di nostalgie e di tenerezze.

Troviamo in questi versi la compassione per Pasolini assassinato (M’aggiro fra ricatti e botte e licenzio/ la mia anima mezza vuota e peccatrice/ e la derelitta crocifissione mia sola/ sa chi sono…), l’invocazione a un Dio insieme benefico e castigante (Nella luce fioca mi lecco/ le ferite mortali e la mia/ anima-foglia leggera va/ in cerca del Padrone..), la compagnia cara dei gatti (Gatti, occhi/ che m’accogliete al mio ritorno/ velato: occhi perfetti/ dove l’universo scioglie/ un’ultima canzone d’amore:/ parola insensata ormai/ alla mia vita distrutta), l’ammirazione e lo stupore davanti al corpo dei ragazzi amati (La leggera sciarpa avvolgi intorno/ al collo sottile, con un giro/ lunghissimo che sferza l’aria/ e mi lega al vento mulinello/ che produci…), l’amore per Roma con le sue piazze, i suoi vicoli e il suo passato (Colosseo che mi hai cresciuto agli Amori/ rientro in te come nel ventre di una Madre..) e, infine, il dolore, che diventa teatro comune e destino irresolubile: “Ti cadono i capelli, qualcuno/ ti mangia il cuore. Non sai/ più scrivere. Parole senza senso/ immagini fiacche e vuote./ Il sole nero della morte brilla/ lontano e tu t’avvicini a lui/ col tuo cranio spappolato./ Anch’io ho paura. La serale/ notturna mattutina insonnia/ non s’affloscia: la fessura/ per arrivare all’anima/ è troppo volgare./ Addio. Tradiscimi con chi/ ti pare.”

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