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letteratura sudafricana

Coetzee, “Vergogna”

J. M. COETZEE – “Vergogna” – Einaudi

Vergogna e disonore. Che cosa è così vergognoso nella vicenda raccontata da Coetzee, che cosa è irrimediabile e imperdonabile al punto da non poter essere cancellato neppure dal più sincero pentimento? In questo bellissimo romanzo vergogna sociale e individuale si fondono, si motivano, si sostengono e, come in un circolo vizioso, non indicano una possibile via d’uscita, un’altra strada percorribile. Bisogna vergognarsi di aver creato un mondo (in questo caso il Sudafrica post-apartheid) dove vivere è pericoloso, dove bisogna difendersi dall’aspirazione alla vendetta, dall’odio atavico di chi ha ereditato il senso dell’ingiustizia e dell’oppressione dalle generazioni precedenti; bisogna vergognarsi di aver creato una società perbenista, pronta a gridare allo scandalo, che dello scandalo si nutre, che sembra godere dell’umiliazione altrui; bisogna vergognarsi dell’esistenza di tutte quelle famiglie “esemplari” che accolgono il reprobo, solo per vederlo inchinarsi di fronte alla loro perfezione con occhi attoniti e scostanti. E poi c’è lui, David Lurie. Di che cosa dovrebbe vergognarsi? Certo, di aver adescato una sua giovane studentessa. Ma dopo le prime pagine diventa sempre più evidente che per Coetzee questo episodio è solo un pretesto.

 Lurie si vergogna di ben altro, forse di una vita irrisolta, forse del fatto che la vita non può essere che irrisolta. Di aver amato in modo eccessivo la sua bambina, di non riuscire a stare vicino e a difendere  sua figlia ormai adulta nelle sue scelte incomprensibili, di insegnare senza riuscire ad essere un vero insegnante, di amare la poesia senza riuscire a crearla, di avere in mente una sinfonia e di riuscire a scrivere solo suoni privi di senso, di amare i cani e di riuscire a dimostrarlo solo accompagnando in modo dignitoso i loro cadaveri all’inceneritore. E, soprattutto, Lurie si vergogna di tenere a bada l’amore, di bruciare senza riuscire a cantare. Forse Coetze ha scritto un romanzo sull’incapacità di esprimersi, di esprimere veramente l’essenza: “La sua personale opinione, che si guarda dall’esprimere, è che l’origine del linguaggio vada cercata nel canto, e l’origine del canto nel bisogno di riempire con un suono un’anima umana sovradimensionata e alquanto vuota”.

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