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letteratura italiana

GIUSEPPE UNGARETTI, “Lettere a Bruna”, Oscar Mondadori

A cura di Silvio Ramat

“Faccia freddo o caldo, squilli il cielo in una torrida furia o si faccia livido e terribile, enigmatico, per eccesso di tensione repressa, l’amore si aggira protetto da se stesso e si ferma a contemplarsi a nutrirsi di sé.”

Dobbiamo essere molto grati alla Signora Bruna Bianco per aver voluto rendere pubbliche queste lettere private, testimonianza di un amore profondo, inaspettato e intenso che cinquant’anni fa l’ha legata a Giuseppe Ungaretti durante gli ultimi anni della vita del grande poeta. Una gratitudine che è d’obbligo per una serie di ragioni, alcune legate al puro gradimento estetico che si trae da questi scritti grazie alla loro bellezza, altre all’ammirazione che essi suscitano poiché testimoniano la nascita e la crescita di un profondo legame, non solo sentimentale ma anche intellettuale e spirituale che ha investito tutti gli aspetti di entrambe le vite coinvolte, e infine, ed è forse la ragione preminente destinata a durare nel tempo e nell’immaginario dei lettori, una gratitudine dovuta al contributo che queste lettere offrono alla conoscenza dell’interiorità di un poeta – uno dei nostri massimi poeti – accessibile fino ad ora solo – e non è certo poco – attraverso i suoi versi. 

Le lettere a Bruna aprono quindi un varco ulteriore, una via diretta verso quell’intimità, fatta di sentimenti, pensieri, ricordi, speranze, conoscenze, ma anche di dolori, incertezze e paure, che ha generato e poi nutrito la poesia che conosciamo e amiamo.

La bella e approfondita prefazione al volume scritta dal curatore Silvio Ramat, che la intitola “… il nostro ardente segreto”, citando un’espressione significativa presente nelle lettere, è ampiamente esaustiva non solo nel riferire gli avvenimenti che hanno fatto coincidere per circa tre anni (gli ultimi nella vita del poeta) le biografie di due persone lontane per età ma affini nell’anima, ma anche nel fornire al lettore, insieme ad un apparato di note puntuale e denso di informazioni, tutti gli strumenti necessari per mettere in relazione queste lettere con il tempo in cui sono state scritte, con gli eventi sociali, politici e culturali di cui Ungaretti è stato testimone molto spesso attivo, per apprendere lo straordinario lavoro svolto dal poeta a favore della cultura italiana e per conoscere le innumerevoli personalità che con lui hanno interagito e collaborato in Italia e all’estero per molti lunghi anni.

Le 400 lettere che Ungaretti scrive a Bruna dal 1966 al 1969 (il poeta morirà il 1° giugno 1970) sono indubbiamente lettere d’amore, ma non solo, sono le lettere d’amore di un poeta che, grazie all’esplodere di questo sentimento ritrova il gusto della parola e dà inizio ad una nuova stagione creativa quando ormai pensava di aver sperimentato, gustato e consumato tutto ciò che la vita aveva potuto offrirgli: “Erano sei anni che non facevo più poesia. Devo a Te anche il miracolo di aver ritrovato le vie del canto. Ho ancora la parola arrugginita.”.

Quella di Ungaretti appare quindi come una parola potenziata perché, nel momento in cui l’autore di queste lettere esprime i suoi sentimenti verso la donna amata, lo fa utilizzando lo strumento che gli è più affine, lo stesso che nei suoi lunghi anni produttivi gli ha permesso di creare alta poesia, di scavare nel linguaggio, di farlo brillare inedito e potente. 

La necessità di trovare le parole e di utilizzarle come veicolo per superare la lontananza (Bruna viveva in Brasile, Ungaretti a Roma e i due dopo il primo incontro si vedranno solo per quattro volte, anche se condivideranno lunghi viaggi e lunghi periodi di vicinanza), per lenire il dolore della mancanza dell’altra persona, diventa per il poeta uno straordinario stimolo creativo che lo spinge praticamente ogni giorno a riversare in questi scritti tutto di sé, a inventare nuove frasi d’amore, regalando nello stesso tempo alla sua donna tutto quel tesoro di conoscenze, di esperienze, di riflessioni, di cultura che i lunghi anni della sua vita precedente gli hanno permesso di accumulare, a regalarle il canto ma anche il disincanto, nella consapevolezza del proprio valore e del proprio dolore.

Forse gli epistolari dei poeti e degli scrittori, le loro lettere d’amore sono proprio l’unico luogo in cui la letteratura e la vita si incontrano per amplificarsi a vicenda, in cui si suggestionano traendo ispirazione l’una dall’altra, diventando l’una ancora più necessaria all’altra, donandosi a vicenda un più alto valore. E’ così per le lettere di Holderlin a Susette Gontard, di Von Kleist alla fidanzata, di Flaubert a Louise Colet, di Pirandello a Marta Abba, di Ingeborg Bachmann e di Paul Celan, di Kafka a Felice e a Milena, di Lou Andreas-Salomè e Rainer Maria Rilke, di Pessoa e Ofelia Queiroz, di Manganelli a Viola Papetti e a Ebe, di Calvino alla moglie Chichita, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa alla moglie Alessandra Wolff von Stomersee, di Jean Cocteau a Jean Desbordes, di Eleonora Duse a Gabriele d’Annunzio, per limitarmi ai testi che ho potuto leggere. Ciò che brilla in tutte queste pagine, ciò che le rende uniche è il modo, ogni volta diverso e irripetibile, in cui l’amore, felice o infelice, mentre si manifesta, trascina con sé e rende visibili le pieghe più nascoste di un’anima, rende urgente e necessario riversarle nella parola, liberata, ma non per questo immiserita, dallo schermo o dalla maschera dell’opera letteraria.

Nel caso di Ungaretti, la parola scritta deve essere forzata, esaltata e nutrita di sempre nuova linfa non solo per superare la lontananza nello spazio ma anche, ed è forse ancora più difficile, quella nel tempo. Al momento del loro incontro infatti Bruna ha ventisei anni e il poeta settantotto e questa differenza d’età, che rende difficile il progetto di una vita insieme, riemerge regolarmente nelle lettere come la spina conficcata nella felicità che l’amore porta con sé: “Anima mia, dirti che ti amo è troppo poco, e dovrei anche ripeterti che è demente, assurdo, forse anche colpevole, mettermi ad amare una giovinetta, come tu sei, all’età mia. E’ demenza, è demenza. Sono preso spesso, continuamente, dal rimorso, e non so essere più forte del mio amore insano. Immenso.”. E ancora: “Non sai, sei troppo giovane, per Tua .fortuna, per saperlo, quello che è un amore disperato. Si afferra con i denti, si addenta, con rabbia – rabbia verso me stesso, verso la mia cattiva, per me, cattiva sorte, l’orrenda vecchiaia. Caro, adorato amore mio.”. Demenza e strazio che si ripresentano in queste lunghe lettere, messi a tacere dalla più illogica felicità e dalla forza di una poesia che diventa viva e vissuta proprio quando il tempo concesso dal destino volge ormai al termine, come un regalo insperato: “Ma aver incontrato negli ultimi miei giorni la tua voce giovine, il tuo viso giovine, i tuoi occhi giovini, la poesia che fiorisce sulle tue labbra giovini, quale apparizione di bellezza per alleggerirmi dal peso di male e di dramma che mi curva le spalle anziane. Sei la Poesia. Non solo perché sai esprimerla anche nelle parole ritmate; ma perché la tua anima è la più pura poesia che possa splendere sulla terra, luce, mia luce.”.

In effetti si può dire che la poesia sia il luogo in cui avviene l’incontro tra i due e anche il terreno che favorisce la loro vicinanza poiché anche Bruna scrive poesie e da subito Ungaretti si pone nei suoi confronti come un maestro che, riconoscendo le potenzialità della sua allieva (“una grazia, un’onestà, un modo raro d’indovinare il peso, la qualità, la novità, qui e là dei vocaboli”), legge e corregge i suoi versi, cercando di portarli verso quell’essenzialità, quell’assenza di enfasi e di retorica che per lui sono l’unico modo per dare risalto alla parola. Nei consigli che Ungaretti dà alla giovane donna sono racchiuse delle note preziose, delle considerazioni sulla natura della poesia e sotto traccia delle allusioni ad una metodologia della creazione poetica che, grazie al lavoro di decenni, hanno permesso al poeta di perfezionare e limare la propria voce rendendola unica: “La poesia è un’arte difficile, anima mia. Ne hai la vocazione. Non ti manca l’impeto. La dicitura è lunga pazienza: fare e rifare sino ad ottenere un testo che non somigli a nessun altro, che somigli solo all’anima che l’ha nutrito, e a chi dovrà nutrire del suo amore esploso nelle parole. Ma le parole per permettergli di esplodere, sono scontrose, riottose, ostili, addirittura nemiche. E’ difficilissimo riempire le parole d’amore, anche quando il cuore è pieno, trabocca d’amore, come il tuo e il mio.”.

E ancora: “Le Tue poesie sono spesso molto belle. Bisognerà [..] che Tu ti liberi interamente dall’oratoria. Il tono della poesia deve essere, come quello d’una lettera, interamente confidenziale. Più le cose sono dette senza alzare la voce e senza declamazione, più sono poetiche. Le più poetiche sono quelle sussurrate”.

Il massimo dono d’amore che Ungaretti può pensare per colei che ormai considera ben più che la sua musa, l’incarnazione stessa della poesia, è la possibilità di esercitare insieme a lei l’arte della scrittura, di produrre delle opere comuni, degli scritti a due mani, di pubblicarli e di lasciarli vivere in memoria perpetua dell’amore e della sintonia che li ha generati. Dei tanti progetti ipotizzati se ne concretizza però uno solo, una sorta di dialogo in versi (dal titolo appunto “Dialogo”) in cui si alternano in forma poetica le voci dei due amanti, che verrà pubblicato nel 1968 in una edizione, come ricorda Ramat, impreziosita da una combustione di Alberto Burri. 

Più volte nelle lettere Ungaretti, che legge con attenzione i versi di Bruna e interviene con i suoi consigli nell’intento di migliorarli, loda invece ripetutamente la prosa della giovane donna tanto da considerare la possibilità di estrarre dalle sue lettere “uno dei più bei libri di questi ultimi anni. Un libro lucido, esaltante, che infonde luce, che conforta, che sorprende per la novità delle immagini”. Noi lettori non possiamo fare altro che attendere, sperando che la Signora Bruna Bianco voglia rendere pubblica anche la sua parte di questo splendido epistolario pieno d’amore, di arte, di parole ardenti.

Ardenti, dementi e disperate, perché, come scrive il grande poeta in quella che viene considerata la sua ultima poesia: “L’ultimo amore più degli altri strazia,/ Certo lo va nutrendo/ Crudele il ricordare”.

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Marina Tommasini
7 days ago

Piacere rileggerti dopo tanto tempo. Il tuo articolo ha, come sempre, quella leggerezza di scrittura unita alla profondità di comprensione del testo che riesce a rendere stimolante qualsiasi tua recessione.
Non sapevo di questo amore tardivo di Ungaretti, avrò cura di leggere le sue lettere.
Grazie