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letteratura turca

Pamuk, “Il mio nome è rosso”

ORHAN PAMUK – “Il mio nome è rosso” – Einaudi

“Raccontate, maestro, la sensazione del rosso a chi non l’ha mai visto”. “Se lo toccassimo con la punta delle dita, avremmo una sensazione di qualcosa tra il ferro e il rame. Se lo prendessimo in mano, sentiremmo bruciare. Se lo afferrassimo, lo sentiremmo pieno come un pezzo di carne salata. Se lo prendessimo in bocca, la riempirebbe. Se lo annusassimo, avrebbe l’odore del cavallo. Se profumasse di fiori, sarebbe simile alla margherita, non alla rosa rossa”.

Orhan Pamuk, Premio Nobel per la Letteratura 2006, è nato ad Istanbul nel 1952. E’ un narratore noto e tradotto da anni in tutto il mondo. Ha vinto numerosi premi, tra cui il Premio Grinzane Cavour e l’International IMPAC Dublin Literary Award. Ha ricevuto inoltre a Francoforte il prestigioso Premio per la pace 2005. Si è recentemente parlato di lui per il processo (poi sospeso) che lo vedeva accusato nel suo paese di denigrazione dell’identità nazionale, per avere scritto del genocidio degli Armeni perpetrato dai Turchi durante la prima guerra mondiale.

Leggere i suoi romanzi significa capire meglio una civiltà a cavallo tra Occidente e Oriente, tra laicità e religiosità, segnata da molti eccessi  e da contraddizioni culturali. Il mondo di Pamuk è la Turchia ed è a tutti nota la posizione critica di questo autore nei confronti del governo del suo paese, il suo desiderio di vedere una nazione degna sotto tutti gli aspetti (specie quelli umanitari) di entrare nell’Unione Europea. La sua è una voce laica e democratica, che sa raccontare un passato integralista e lo fa con la passione di chi vuole capire e comunicare ciò che ha compreso.

“Il mio nome è rosso” è ambientato alla fine del Cinquecento in Turchia. La vicenda si svolge in pochi giorni dell’inverno 1591, in una Istanbul fredda e nevosa: tutto ruota apparentemente intorno al ritrovamento di un cadavere e all’indagine che ne consegue, ma scopo del romanzo non è attirare il lettore con una storia avvincente. A essere ucciso è il migliore doratore dell’Impero, al momento impegnato nella realizzazione di un libro speciale per il Sultano. A occuparsi dell’indagine è il nipote Nero, desideroso di scoprire la verità anche allo scopo di sposare la bella cugina Seküre. Tema centrale attorno a cui verte non solo l’omicidio, ma tutta la vicenda narrata, è la disputa sull’opportunità di riprodurre nelle miniature la realtà così come appare agli occhi degli uomini o continuare a restare fedeli ai modelli proposti dagli antichi maestri, per non recare offesa ad Allah. Un tema strettamente teologico che ha ripercussioni politiche e sociali. Nel romanzo, i seguaci del predicatore Erzurum ricercano in tutta Istanbul, minacciandoli di morte, i miniaturisti che, trascurando i precetti del Corano, ritraggono gli uomini, le donne, gli animali, gli elementi della natura, e persino il volto del Sultano, così come a loro appaiono, offendendo Allah perché, così facendo, si appropriano di un po’ della sua potenza creatrice. Il romanzo è corale. Ogni capitolo è narrato in prima persona da un personaggio diverso, o da un animale, o da un oggetto, persino da un colore, il rosso appunto. “Ho scelto tante voci narranti diverse” ha affermato Pamuk in una intervista “perché scrivere un romanzo storico in terza persona dà un’eccessiva autorità all’autore. E proprio perché ciò che avevo in mente era molto serio, con problemi filosofici, iconografici, religiosi e ideologici, ho pensato che farlo narrare a voci diverse avrebbe dato un tocco di leggerezza al racconto”. La leggerezza di una miniatura, accurata e preziosa.

Ricco di passione e di suspense, questo romanzo restituisce la ricchezza e la malinconia di un mondo al tramonto. Nel contrasto tra i due vecchi miniaturisti, Zio Effendi e Maestro Osman, Pamuk riassume una discussione che continua ancora oggi nel mondo islamico, diviso tra modernità e tradizione.

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