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letteratura austriaca

Bernhard, “Piazza degli eroi”

THOMAS BERNHARD – “Piazza degli eroi” – Garzanti

Traduzione di Rolando Zorzi

Piazza degli eroi

“E’ tutto in via di estinzione”

Prima di tutto qualche data, per cogliere appieno l’importanza di “Piazza degli eroi” (“Heldenplatz”) all’interno della produzione teatrale, ma anche più genericamente letteraria, bernhardiana. L’opera viene pubblicata nel 1988 e rappresentata per la prima volta al Burgtheater di Vienna il 4 novembre dello stesso anno, per la regia di Claus Peymann. L’ultimo romanzo di Bernhard, “Estinzione” era stato pubblicato due anni prima, nel 1986. Il 12 febbraio 1989 Bernhard muore. Siamo quindi giunti con questo dramma alla conclusione della parabola teatrale del suo autore, ovvero, come ben sottolinea Eugenio Bernardi, al punto “massimo di quella provocazione cui mirava da sempre il suo teatro”. Esattamente come, sul piano della narrativa, “Estinzione” rappresenta il tentativo, attuato mediante le raffinate armi letterarie a cui questo autore ha abituato i suoi lettori, di cancellare, di estinguere, uno per uno, i temi portanti della sua architettura artistica. Bernhard conclude quindi portando al massimo grado possibile la sua arte della provocazione e della esagerazione, consapevole che, esagerando la realtà, può renderla insopportabile e, quindi, distruggerla. Ci si può chiedere se fosse consapevole dell’avvicinarsi della fine, ma la sua stessa biografia ci dice che Bernhard ha sempre vissuto sapendo di portare con sé la propria morte, di allevare dentro di sé la propria malattia mortale e quindi questa è, in definitiva, una domanda inutile.

L’aspetto più apertamente provocatorio della pièce consiste nei violenti attacchi che contiene, attacchi per nulla velati e sottintesi, ma diretti e ampiamente ripetuti, nei confronti dello stato austriaco, dei suoi rappresentanti, delle sue istituzioni e, in definitiva, dell’intero popolo austriaco. Lo spunto per la scrittura del dramma è il cinquantenario dell’annessione dell’Austria alla Germania nazista e la tesi sostenuta da Bernhard è che, dopo cinquant’anni, complice lo stato, il nazismo e l’antisemitismo stanno nuovamente diffondendosi, senza trovare ostacoli apparenti, tra i politici più potenti, nei luoghi dell’arte e della cultura e, infine, tra la stessa popolazione. Si va dagli accenni velati, alle battute ironiche, alla constatazione amara fino alla vera e propria invettiva (e Bernhard sa come dosare tutto questo e come variarlo per suscitare le reazioni del pubblico). E’ un crescendo che, dopo gli accenni contenuti nella prima scena, si distende, diventando sempre più esplicito nella seconda e nella terza (fino alla splendida conclusione che non svelo, per non rovinare ai futuri spettatori gli effetti dell’inventiva di un vero animale da palcoscenico). E’ significativo il fatto che l’azione scenica di questo dramma, a differenza di quanto avviene nelle altre opere teatrali di Bernhard, dove sono ridotte al minimo le indicazioni di luogo e di tempo, sia ben collocata nel tempo e nello spazio: il testo reca “Vienna” come indicazione iniziale, seguita dalla data, “Marzo 1988” (il 15 marzo 1938, Hitler annuncò nella centralissima Heldenplatz di Vienna alla folla acclamante l’Anschluss dell’Austria alla Germania); le indicazioni sceniche, inoltre, collocano chiaramente la I e la III scena all’interno di un appartamento che si affaccia sulla Heldenplatz e la II nei giardini pubblici del Volksgarten; dai personaggi vengono infine ripetutamente citati il Burgtheater, la Ballhausplatz, su cui si affaccia la Cancelleria federale, il Parlamento, l’Università, la Biblioteca nazionale, oltre alle più importanti vie e piazze di Vienna. Insomma, una serie di accurate indicazioni spaziali e una precisa collocazione dell’azione scenica nel tempo, inusuali per lo stile di Bernhard che sembra in questo modo perseguire un intento di chiarezza e trasparenza e assicurarsi che il suo estremo giudizio sull’Austria venga colto pienamente. Si va da considerazioni generiche come “…che io sia austriaco è la mia più grande disgrazia”, a constatazioni esplicite: “oggi la situazione è veramente quella/ che c’era nel trentotto/ a Vienna ci sono adesso più nazisti/ che nel trentotto/ lo vedrai/ come tutto finirà male/ per capirlo non c’è mica bisogno/ di una mente tanto acuta/ adesso stanno venendo fuori di nuovo/ da tutti i buchi/ che più di quarant’anni fa erano stati tappati/ basta che ti metti a parlare con uno qualunque/ e non ci vuole tanto/ perché salti fuori un nazista”; da attacchi diretti alle istituzioni culturali: “pure l’università è piena di idioti/ e fra questi lui ha sopportato per vent’anni/ degli imbecilli della Stiria e degli idioti di Salisburgo/ come colleghi/ la vita intellettuale in questa città/ è pressochè soffocata nell’infamia/ e nell’ottusità dei suoi trafficanti di posti/ Dei miei colleghi il novanta per cento sono nazisti/ diceva il babbo/ o rappresentano l’ottusità cattolica/ o quella nazionalsocialista/ beceri e infami sono tutti quanti/ la città di Vienna è tutta un’infamia ottusa”, a vere e proprie accuse rivolte agli uomini di potere: “il presidente della repubblica un borghesuccio furbo e falso/ e tutto sommato un tipo deprimente/ il cancelliere uno scaltro maneggione politico”, “stia un po’ a sentire il cancelliere federale/ quello non riesce neanche a finire una frase correttamente/ e neppure gli altri/ da tutta quella gente non vien fuori che immondizia/ quel che pensano è immondizia/ e anche il modo in cui lo dicono è immondizia”, “Herr Landauer che ne dice vinceranno i rossi alle prossime elezioni/ quelli non hanno proprio carattere/ e i neri sono tutti degli imbecilli/ e le porcate sono la forza motrice di tutti quanti i partiti/ Se oggi in Austria lei dà il voto a un uomo politico/ può star sicuro che dà il voto a un porco corrotto”, fino ad investire l’intero popolo austriaco con un astio e una violenza verbale troppo radicali per non indurre nello spettatore almeno il sospetto che al fondo di tutto ciò ci sia una cocente delusione, un desolato rammarico nei confronti di una patria forse molto amata e per questo dolorosamente ripudiata: “mi meraviglia soltanto che tutto il popolo austriaco/ non si sia suicidato da un pezzo/ ma gli austriaci nell’insieme in quanto massa/ oggi sono un popolo brutale e stupido/ In questa città uno che ci vede dovrebbe essere/ ventiquattr’ore su ventiquattro in preda a raptus omicida/ Quel che è rimasto a questo povero popolo minorenne/ non è altro che il teatro/ L’Austria stessa non è altro che un palcoscenico/ sul quale tutto è depravato deteriorato e decomposto/ una compagine di comparse detestata da se stessa/ fatta di sei milioni e mezzo di abbandonati a se stessi/ sei milioni e mezzo di dementi nonché pazzi furiosi/ che ininterrottamente gridano a squarciagola reclamando un regista/ E il regista verrà/ per spintonarli definitivamente giù nel baratro”. “Piazza degli eroi” resterà in scena al Burgtheater fino alla morte del suo autore, provocando, come si può facilmente intuire, un seguito di attacchi a Bernhard da parte di tutta la stampa e di molti esponenti politici, tanto che lo scrittore, come risposta, disporrà nel suo testamento il divieto di stampare, rappresentare o leggere in pubblico i suoi scritti in territorio austriaco per la durata dei diritti d’autore. Un’uscita di scena ad effetto, un vero “colpo di teatro” per un autore così enigmatico, disturbante e delirante, perfetta in fondo per chi ha potuto scrivere, a ragion veduta, molte volte anche se in forme diverse, una battuta come questa: “Ah, la vita è proprio tutta una commedia sapete”. Detto tutto ciò, sarebbe veramente limitante ridurre “Piazza degli eroi” al suo contenuto provocatorio e collegare questo dramma alle sole polemiche che ha scatenato. Non ho mai avuto l’opportunità di vederlo rappresentato, ma credo di essere in grado di cogliere tutta la sua grandezza anche mediante la sola lettura. Per l’ennesima volta, quella definitiva, Bernhard mette in scena l’assurdità e l’ottusità brutale del mondo, con il realismo lucido che gli è proprio e con l’intransigenza che ha sempre caratterizzato la sua arte. Il suicidio dell’intellettuale ebreo, Professor Schuster, che, tornato a Vienna cinquant’anni dopo l’Anschluss, non riesce a sopportare la situazione dell’Austria e si getta dalla finestra, diventa il pretesto e l’occasione, al di là della provocazione, per attuare quella variazione di temi in cui Bernhard è maestro; ecco allora entrare di nuovo in scena la dissoluzione familiare, l’incomunicabilità, l’incapacità di adattarsi ad un luogo che diventa eterna e frenetica preparazione di viaggi in fondo privi di una meta soddisfacente, le fissazioni e la reiterazione di gesti quotidiani che finiscono per rappresentare l’unica certezza e l’unica via di scampo, il rifugio nell’arte, sentita alternativamente come consolazione e disgusto, l’apparente assenza di sentimenti (ma anche qui, folgorante, inaspettato e per questo commovente, quell’intercalare, raro ma a me tanto caro, quel “bambina mia”, unica apertura verso un mondo di sentimenti negato a cui si può solo alludere, che, posso sbagliarmi, è presente in quasi tutte le opere teatrali di Bernahrd) e, infine, quel perenne senso di inquietudine, di “perturbamento”, la cifra e l’identità del teatro bernhardiano che, ancora una volta, è teatro di parola. E se fondamentale nel teatro è il ritmo, è proprio nel ritmo delle parole, che spiccano nella staticità dell’azione, che va ricercato il valore anche poetico dell’ultimo gesto teatrale di Bernhard, quello su cui cala il sipario della sua vita d’artista.

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Antonio
11 years ago

Di Bernhard ho letto molto, ma quest’opera mi manca. Complimenti per la recensione! 🙂

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