FLANNERY O’CONNOR, “Tutti i racconti”, Bompiani
Generazioni intere di scrittori hanno riconosciuto in Flannery O’Connor una delle voci più geniali e influenti della letteratura americana del Novecento, attribuendole un posto nella categoria degli “scrittori di culto”, uno status a cui ha contribuito il fatto di aver trascorso una vita particolarmente appartata dalla mondanità letteraria e tragicamente breve. Nata a Savannah, in Georgia, nel 1925, Flannery O’Connor si trasferisce a sette anni nella cittadina di Milledgeville, dove abiterà per tutta la vita. Nel 1947, sei anni dopo la morte del padre, lei e la madre ereditano una grande fattoria: è qui che la O’Connor mette su l’insolito allevamento di pavoni a cui si dedicherà con enorme passione e che diventerà parte integrante della sua immagine pubblica. La passione per la scrittura comincia già all’epoca del college: presso la StateUniversityof Iowa la Flanneryfrequenta corsi e laboratori di letteratura e comincia a inviare racconti alle riviste.
È nel 1952 che pubblica il suo romanzo d’esordio, “La saggezza nel sangue”, a cui fanno seguito una raccolta di racconti e un secondo romanzo, “Il cielo è dei violenti”. Il successo è immediato: fra il ’57 e il ’65 tre suoi racconti vincono il prestigioso O’Henry Award, e viene spesso invitata a tenere corsi e conferenze nelle università del Sud degli Stati Uniti. Questo è l’ambiente geografico e culturale in cui si colloca la vicenda biografica e letteraria della O’Connor: le zone rurali del Sud, percorse da tensioni razziali e dal fervore religioso, il mondo a cui aveva dato voce William Faulkner, del quale la O’Connor condivide la sensibilità per il grottesco e i toni espressionisti.
I protagonisti della sua narrativa sono figure profondamente legate alla realtà locale di quella terra e descritte con un realismo sanguigno, ma le loro vicende – quasi sempre pervase di violenza, follia e deformazioni – possono essere considerate veri e propri simboli della presenza contraddittoria e inquietante del divino, del mistero e della grazia nella vita umana. Il cattolicesimo è infatti una delle componenti basilari della cultura e della scrittura della O’Connor; la sua è una fede profondissima e assolutamente ortodossa, ma che non degenera mai nel moralismo. Questa scrittrice oppone ai gusti perbenisti dei bigotti le sue storie a tinte forti e senza finali consolatori, ben consapevole della sua problematica missione di narratrice cattolica “nel territorio del diavolo”. Il lupus eritematoso, la stessa malattia del sistema immunitario che aveva ucciso il padre, si manifesta per Flannery O’Connor nel 1950, asoli venticinque anni. Malgrado continue cure molto pesanti, che le fanno gonfiare il viso e perdere i capelli, e la costringono a camminare con le stampelle, le sue condizioni non miglioreranno mai. Nel 1964 le viene diagnosticato un tumore. Subisce un’operazione, ma poco dopo peggiora nuovamente e muore il 4 agosto, a trentanove anni. Nel suo libro “Nel territorio del diavolo. Sul mistero di scrivere” edito in Italia dalla Minimum fax, è la stessa scrittrice che ci svela il modo in cui concepisce le sue storie, un concepimento che avviene ad almeno tre livelli. Primo livello: la O’Connor scrive perché vede il mondo. “La narrativa riguarda tutto ciò che è umano e noi siamo polvere, dunque se disdegnate d’impolverarvi, non dovreste tentar di scrivere narrativa”. Non è possibile suscitare l’emozione con testi infarciti di emozione, né suggerire pensieri facendo fuoriuscire il pensiero da ogni angolo del racconto: scrivere narrativa non è questione di dire cose, ma di farle vedere al lettore. La concretezza è una delle basi forti della poetica della O’Connor. Secondo livello: la O’Connor punta al mistero. Il realismo che intende prendere in considerazione è orientato in direzione del mistero, che si manifesta ad esempio nella forma dell’imprevisto o, addirittura, del grottesco. Anche la violenza gratuita, il bizzarro, misto di comicità e di orrore, sono funzionali a una forzatura dello sguardo. È come se la scrittrice desse uno schiaffo al lettore: ciò che salta subito in aria è quel buon senso vagamente razionale e illuministico che tanto ammorba la vera ispirazione. Terzo livello: l’argomento della narrativa della O’Connor è l’azione della grazia in un territorio tenuto in gran parte dal diavolo. I suoi personaggi sembrano a ogni istante sul punto di compiere qualunque azione: sono tutti allineati all’assoluto principio di tutte le loro possibilità. Per la O’Connor quindi la scrittura è il terreno nel quale viene concepito il dramma della libertà e delle sue infinite possibilità, il territorio del dramma del bene e del male, della salvezza e della perdizione, della grazia e del diavolo. Concepire l’infinito è per lei “accogliere e custodire la grazia in un grembo che è territorio del diavolo”.
Bellissima presentazione, come sempre scorrevole e stimolante. La O’Connor occupa un posticino importante nella mia lista d’attesa… Credo che mi piacerà, visto che apprezzo lo stile di Faulkner.
Ecco, io non ho ancora avuto il coraggio di iniziare con Faulkner. Lei è una grande, e questi racconti sono uno più bello dell’altro.
Prossimanamente posterò nel blog una recensione su Faulkner, anche se è un autore non facile, complesso da analizzare. Finora ho letto solo due suoi libri, quindi sono ancora in work progress con questo autore, però un minimo di idea me la sono fatta 😉