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letteratura portoghese

Pessoa, “Il libro dell’inquietudine”

FERNANDO PESSOA – “Il libro dell’inquietudine”- Newton Compton

“Dal mio quarto piano sull’infinito, nella plausibile intimità della sera che sopraggiunge, a una finestra che dà sull’inizio delle stelle, i miei sogni si muovono con l’accordo di un ritmo, con una distanza rivolta verso viaggi a paesi ignoti, o ipotetici, o semplicemente impossibili.” Fernando Pessoa è un grande poeta, una delle voci più alte del Novecento. Dopo una prima giovinezza in Sudafrica, trascorse il resto della vita a Lisbona, dove era nato nel 1888 e dove lavorava come impiegato in una ditta commerciale. Morì nel 1935. Fu un grande animatore dei circoli culturali della sua città, fondò e diresse moltissime riviste letterarie, esercitando un’influenza decisiva sul mondo intellettuale a lui contemporaneo. Fu uno scrittore molto prolifico, ma pubblicò ben poco durante la sua vita. Morendo lasciò però un baule pieno di suoi scritti che in seguito vennero pubblicati in Portogallo e gradualmente tradotti e pubblicati in molti paesi europei, Italia compresa. Ancora oggi non si è esaurita questa miniera, la ricchezza incredibile della sua anima, che Pessoa sembra aver voluto lasciare in eredità ai suoi futuri lettori e, ogni tanto, escono in Italia nuovi suoi testi in forma di poesia, narrativa o saggistica.

Pessoa è prima di tutto un poeta, con una singolare caratteristica: quella di firmare i libri da lui scritti con degli eteronimi. Non si tratta solo di un vezzo o di una stranezza d’artista. Questi eteronimi finiscono per assumere la caratteristica di veri e propri uomini immaginari, poeti immaginari, con una propria personalità ben definita, un proprio e riconoscibile stile poetico e, persino, una data di nascita e di morte, oltre che, naturalmente, una propria biografia. Uno di questi eteronimi (uno dei più famosi insieme ad Álvaro de Campos) è Bernardo Soares, l’autore de “Il libro dell’inquietudine”. Bernardo Soares è un uomo che sta a una finestra. Soares è un contabile di Lisbona e la finestra appartiene al suo piccolo appartamento “al quarto piano sull’infinito” o è quella della ditta di tessuti nel vecchio centro commerciale della città dove lui lavora. Taciturno e solitario, egli se ne sta dietro ai vetri a spiare la vita. Una vita esterna e reale ma che si svolge estranea a lui, anche se gli transita accanto; e una vita interiore e inventata. Perché la finestra di Bernardo Soares ha le imposte che si possono aprire nei due sensi, sul fuori e sul dentro. E anche quel dentro è un luogo estraneo e ignoto al suo abitatore: un “dentro” in affitto, la camera di un albergo che Soares divide con altri se stesso (“una sola moltitudine”) a lui sconosciuti. Su questi due paesaggi che si intersecano e si confondono, Soares va scrivendo minuziosamente, con la maniacale puntigliosità del contabile, il suo diario. Non è facile definire questo libro: una raccolta di confessioni, una specie di diario esistenziale, un diario dell’anima, una “autobiografia senza fatti”, come la definisce lo stesso Bernardo Soares. E ancora: uno zibaldone di pensieri, di riflessioni, di appunti, di impressioni, di meditazioni, di vaneggiamenti e di slanci lirici. Ma anche, certamente, un romanzo. Un romanzo doppio, perché Pessoa ha inventato un personaggio di nome Bernardo Soares e gli ha delegato il compito di scrivere un diario. Soares è cioè un personaggio di finzione che adopera la sottile finzione letteraria dell’autobiografia. In questa autobiografia senza fatti di un personaggio inesistente consiste l’unica grande opera narrativa che Pessoa ci abbia lasciato. Leggere questo libro è un’esperienza unica, si procede realmente con la sensazione di essere incappati in un tesoro, anche se, come afferma Piero Ceccucci, il curatore della presente edizione, “immergersi nella lettura dei testi pessoani, significa abbandonare i sentieri certi e sicuri del conosciuto e dello sperimentato e inoltrarsi per cammini deserti e impervi: verso le terre dell’incognito e del mistero del nostro mondo interiore, pozzo cupo e spaventoso dal cui fondo – per suprema contraddizione e disperazione – vediamo risplendere, immote e lontane, le ignare stelle, impassibili al dolore umano.”

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