PABLO NERUDA – “I versi del Capitano” – Passigli
“Lascia che il vento corra/ coronato di spuma,/ che mi chiami e mi cerchi/ galoppando nell’ombra,/ mentre, sommerso/ sotto i tuoi grandi occhi,/ per questa notte sola/ riposerò, amor mio.”
Sono tre, soprattutto, i grandi canzonieri amorosi di Pablo Neruda: i “Cento sonetti d’amore”, le “Venti poesie d’amore e una canzone disperata” e questo “I versi del Capitano”.
La presente edizione, con testo spagnolo a fronte, è curata da Giuseppe Bellini, autore della preziosa presentazione che introduce l’opera.
“I versi del Capitano” apparvero, anonimi, a Napoli, nel1952, inedizione limitata di 44 esemplari, e solo l’anno successivo il libro fu pubblicato dall’editore Losada di Buenos Aires. Questa edizione diede ampia diffusione alla raccolta e originò immediate polemiche. Si poneva il problema della individuazione dell’autore e della ricerca dei motivi reconditi che avevano spinto il poeta a occultare la propria identità al momento della pubblicazione dell’opera. Presto la critica scoprì la vera identità dell’anonimo: Pablo Neruda, uno dei massimi lirici del nostro tempo che, improvvisamente, nel pieno del suo impegno civile, tornava al canto d’amore, rivelando una storia appassionata, decisiva per la nuova stagione della sua vita. Lo stesso Neruda riconoscerà ufficialmente il libro, inserendolo nel 1962 nelle sue “Opere complete” e sarà lui a spiegare che “I versi del Capitano” sono il documento che testimonia il suo amore per Matilde Urrutia, sbocciato a Capri durante la residenza del poeta nell’isola; l’anonimo sotto cui l’opera apparve si dovette al fatto che l’autore non volle ferire pubblicamente la donna alla quale era ancora legato. Racconta il poeta che questi versi erano stati messi al mondo “come un figlio illegittimo” che da solo avrebbe dovuto conquistarsi il suo posto.
Ma ne “I versi del Capitano” ciò che importa è la sostanza artistica, la validità nell’ambito della poesia. In questi versi il poeta non canta Matilde, ma la continua mutazione, l’inafferrabilità e l’essenza effimera dell’essere umano, facendo della sua storia, dei suoi personali sentimenti, una trama universale. È l’uomo che canta la donna, oscillando tra incomprensione e tenerezza, amore e disprezzo, orgoglio e resa, sensazione di poter raggiungere l’essenza dell’altro, senza mai riuscire a impadronirsene realmente. Neruda ha la piena e amara consapevolezza di desiderare ed evocare la conciliazione degli opposti, che altro non può essere che la morte (così simile all’amore). Neruda si esprime a tratti con la leggerezza di un Piccolo Principe che parla alla sua rosa, a tratti con la pesantezza e la rabbia che lo opprime e preme per la sua distruzione. È un insieme di variazioni sullo stesso tema, nelle sue infinite e universali sfaccettature: un uomo che canta il suo amore per una donna, grazie al quale ogni verso e ogni parola riportano al pensiero, esprimono e fissano un ricordo. La forza espressiva del poeta è proprio nella sua universalità.
La presente edizione contiene anche la lettera con la quale Matilde Urrutia (firmandosi con lo pseudonimo di Rosario dela Cerda) invia i versi all’editore. È la risposta della donna ai versi d’amore di un grande poeta. “La mia persona non ha importanza, ma sono la protagonista di questo libro e ciò mi rende orgogliosa e soddisfatta della mia vita. Questo amore, questo grande amore nacque nell’agosto di un anno qualsiasi, nei viaggi che facevo come artista per i villaggi della frontiera franco-spagnola. Lui tornava dalla guerra di Spagna…I suoi versi sono come lui: teneri, amorosi, appassionati e terribili nella sua collera. Era forte e la sua forza la sentivano tutti coloro che si avvicinavano a lui. Era un uomo privilegiato, di quelli che nascono per grandi destini. Io sentivo la sua forza e il mio piacere più grande era sentirmi piccola vicino a lui. Entrò nella mai vita, come egli stesso dice in un verso, abbattendo la porta. Non bussò con la timidezza di un innamorato. Dal primo istante si sentì padrone del mio corpo e della mia anima. Mi fece sentire che tutto cambiava nella mia vita, la mia piccola vita di artista, di agio, di mollezza, si trasformava come tutto ciò che lui toccava…Lui scriveva questi versi che mi facevano salire al cielo o scendere nell’inferno nello stesso tempo, per la crudezza delle parole che mi bruciavano come brace…Aveva la stessa passione che poneva nei suoi combattimenti, nelle sue lotte contro le ingiustizie. Gli doleva la sofferenza e la miseria, non solo del suo popolo, ma di tutti i popoli”.