WALTER DE LA MARE – “La tromba” – Sellerio
Non so se mi capiterà ancora di incontrare un libro di Walter De la Mare e la sua “sussurrata malìa che lascia libero accesso ai fantasmi della mente” (sembra che così Eliot definisse la sua arte), ma so che questo racconto, così ricco nella sua brevità, così intenso e insieme controllato (cosa rara), testimonianza della grande perizia del suo autore, ma anche della sua capacità di sollecitare la collaborazione del lettore, addirittura la sua presenza nell’oscurità del luogo in cui tutto ciò che è grottesco, misterioso e infine tragico si compie, non me lo dimenticherò. Dal punto di vista narrativo, De la Mare mi appare come un grande maestro nell’arte di accentuare la tensione, mediante il rinvio, la dilazione e la divagazione, nella capacità cioè di disperdere i meccanismi narrativi, di usarli come ferri del mestiere ma di tenerli celati in un magazzino che non è aperto al pubblico.
E così la divagazione può risplendere come la luce soffusa della luna che penetra dalle vetrate della chiesa in cui tutto si compie e permette al lettore di farla sua e di arricchirla con tutti gli echi che provengono da altri luoghi narrativi. Mi sono impadronita della splendida divagazione di pag. 50, quella degli angeli di De la Mare: “…ci sono angeli di una tale forza che se uno di loro toccasse appena il soffitto di questa chiesa con la punta di un dito lo ridurrebbe in polvere. E le loro voci sono fragorose come il tuono, tanto che quando si parlano l’un l’altro, il rimbombo delle loro grida si propaga per tutto il cielo. E alcuni si alzano in volo dal mare, ad est, quando sorge il sole; e alcuni vengono fuori da uno smisurato, spaventevole abisso. E altri escono dall’acqua: laghi profondi, pericolosi, e grandi fiumi, e stanno ritti sulla superficie e possono volare direttamente, come farebbe un fulmine, da un capo all’altro del mondo, simili a tremendi uccelli. Possono vedere senza guardare; e stanno immoti, come grosse pietre scolpite, in una luce che, perdiana, questa luna non è neanche una candela al confronto!”. E, come è nella natura delle divagazioni, mi ha portato a contemplare un altro angelo terribile, che una geniale scrittrice contemporanea ha “catturato”: “Se un angelo passa vicino alla vostra casa, sparategli. E quando sarà caduto nel vostro giardino, col petto insanguinato e le ali che sbattono debolmente sul terreno, avvolgetegli il capo e posatelo sulle vostre ginocchia, facendo da cuscino alla sua agonia; e guardando la vostra casa, respirate di sollievo, vedendola uscire con la consueta lentezza dalla penombra mattutina”. (Ginevra Bompiani, “Le specie del sonno”, pag.36)