MIKHAIL SHISHKIN – “Lezione di calligrafia” – Voland
E’ di grande conforto per il lettore aver accesso all’opera di uno scrittore russo contemporaneo (Shishkin è nato a Mosca nel 1961) che testimonia tutta la vitalità di una tradizione letteraria capace di affondare le radici nel suo glorioso passato, di utilizzarne appieno l’eredità, acquisendo contemporaneamente tutta la consapevolezza moderna del valore essenziale che la scrittura ha in se stessa, della sua capacità di essere scopo, ragione, significato e “figura” della vita. Shishkin offre in questo libro, tramite la sua struttura bipartita, un testo che si potrebbe definire di “metaletteratura”, una sorta di “metafisica della scrittura” (“Lezione di calligrafia”) e, successivamente, la sua messa in opera, la sua dimostrazione pratica, nel romanzo vero e proprio (“Memorie di Larionov”). Dalla Prefazione di Emanuela Bonacorsi apprendiamo che “Lezione di calligrafia” costituisce l’ouverture di tutta la produzione dell’autore, la sua opera prima, quella che mostra il DNA sperimentale e innovativo alla luce del quale tutti i suoi romanzi successivi, dall’apparente impianto tradizionale, vengono illuminati, acquisendo un più ampio respiro.
Allo scrivano del tribunale Evgenij Aleksandrovic (protagonista di “Lezione di calligrafia”) è affidato il compito di insegnare le basi dell’arte calligrafica ad un personaggio femminile che, di volta in volta, prende il nome delle protagoniste di immortali romanzi della tradizione letteraria russa (da “Evgenij Onegin” a “L’idiota”, da “Anna Karenina” a “Il dottor Zivago”). Sono lezioni appassionanti perché la mano che tiene la penna, il pennino, il segno che esso imprime sulla carta non sono altro che occasioni per penetrare sempre più a fondo nella natura dell’esperienza umana. Un esempio per tutti, che è anche l’incipit di questo fantastico testo, è “la lezione” sulla lettera maiuscola: “La lettera maiuscola, Sof’ja Pavlovna, è l’inizio di tutti gli inizi, perciò cominceremo da quella. Volendo, è la stessa cosa del primo respiro, il vagito di un neonato. Solo fino a poco fa non c’era nulla, l’assoluto nulla, ma ecco che all’improvviso questa penna si piega a un’ineffabile volontà superiore e traccia una maiuscola senza potere più fermarsi. In quanto primo movimento della penna che tende verso il punto, è anche segno di speranza e paradosso dell’essere. Nella prima lettera, come nell’embrione, è racchiusa tutta la vita a venire fino alla fine, lo spirito, il ritmo, l’impeto e l’immagine”. In realtà, la lezione si sposta quindi ben presto dalla calligrafia alla scrittura, dalla fisica alla metafisica e così noi lettori apprendiamo da questo strano maestro che, a causa del suo lavoro in tribunale, è costretto a registrare, appuntare, redigere le storie più violente e orribili, gli aspetti più degradanti e meno esemplari della natura umana, che la scrittura è redenzione perché allo scrittore è affidato il compito di portare con le parole “la nostra vita dal disordine all’armonia, dall’orrore alla grazia, dall’insensatezza a un disegno più intellegibile e alto, e tuttavia perfettamente umano”. L’ouverture dell’opera di Shiskin è quindi questo filo invisibile che tiene insieme tutte le cose, che dà loro vita, ordine ed armonia, le redime e dona loro senso, questo filo invisibile che è la scrittura. Quel filo che permette all’anziano Larionov (protagonista delle “Memorie”), giunto ormai al termine di una vita non certo brillante, né esemplare, né in alcun modo “utile” all’umanità, di affermare: “E se Dio mi concedesse adesso un’altra vita, la vivrei esattamente così, non cambierei niente, non una parola, uno sguardo, un respiro. Non mi pento di nulla. Non rimpiango nulla. Tutto è come deve essere.”