MANES SPERBER – “Il roveto in cenere” – Oscar Mondadori
Quattro stelle per deferenza nei confronti del primo volume della trilogia narrativa dal titolo “Come una lacrima nell’oceano” del grande intellettuale galiziano novecentesco che Claudio Magris inserisce a buon diritto nella sua raccolta di saggi “L’anello di Clarisse – Grande stile e nichilismo nella letteratura moderna”, a fianco di scrittori del calibro di Hofmannsthal, Ibsen, Walser, Rilke, Musil, Canetti, Doderer e Singer. Mi ritengo doppiamente fortunata per essere venuta in possesso di questo volume (gli altri due che completano il ponderoso romanzo e l’altra opera narrativa dell’autore, “Gli acquaioli di Dio”, la sua trilogia autobiografica, sono ormai fuori catalogo e introvabili in traduzione italiana) e per aver potuto usufruire dello scritto di Magris come guida, a tratti illuminante, nella lettura spesso ostica di queste pagine piuttosto complesse. E’difficile valutare dal punto di vista letterario un romanzo che possiede una così forte connotazione politica. Si potrebbe dire che la degenerazione di una ideologia sia di fatto il tema portante di tutto l’impianto narrativo.
I rivoluzionari di Sperber che negli anni Trenta si trovano ad organizzare le attività delle cellule comuniste in molte capitali europee, scoprono di servire in realtà il pervertimento della rivoluzione (lo stalinismo) e di essere imprigionati in una ideologia aberrante che non offre loro alcuna alternativa. Sperber, come dice Magris, rappresenta la sovranazionalità dell’intellettuale mitteleuropeo, colui che, consapevole della totalità perduta, rappresentata dall’idea in cui ha creduto, elabora i fondamenti del pensiero nichilista, volto a distruggere fedi ed ideologie. La stessa biografia di Sperber, convinto comunista allontanatosi poi dal partito in seguito alla notizia dei primi processi staliniani, ne è la testimonianza. L’eroe protagonista del romanzo (che in realtà è corale), deluso e tradito, è un esiliato dalla storia che vive nel ricordo del passato e nel sogno del futuro, ma mai nel presente, non pianta radici in nessun luogo e finisce per nascondersi nell’anonimato. Leggere queste pagine significa fare esperienza di uno smarrimento desolato che cessa solo in alcuni momenti quando la fuga permette brevi soste, su un ponte di Praga, in un caffè di Vienna, in un villaggio jugoslavo, dove si può avere l’illusione che sia ancora possibile vivere in un mondo riconoscibile e certo. Si tratta, a mio parere, delle pagine più riuscite dal punto di vista letterario di un romanzo nel quale, d’altro canto, si avverte spesso l’intento dell’autore di comunicare quanto ha ricavato dall’esperienza diretta nella militanza comunista: la repulsione nei confronti di ogni totalitarismo, non solo politico, ma anche ideologico. Necessariamente ciò avviene all’interno di lunghissimi dialoghi tra i personaggi, che a tratti assumono la connotazione di veri e propri brevi saggi. In particolare ad uno dei protagonisti, il vecchio storico viennese Professor Stetten, è riservato il compito di esporre più dettagliatamente il pensiero “nichilista” dell’autore, lui ha il coraggio di proclamare l’inutilità e l’idiozia dell’eroismo, è lui ad affermare: “Le ho detto che nessun ideale è così degno che per amor suo si trascuri di aspirare il profumo di un fiore, o uno solo degli innumerevoli sorrisi di un bimbo, un unico sorso di vino, un bacio. Perché, così le ho detto, la verità è questa: l’uomo è unico, la sua vita è unica”. Nel romanzo è attribuita al Professore la pubblicazione di un libro dal titolo “Il tallone d’Achille”. Poiché si tratta del titolo di una raccolta di saggi realmente scritta da Sperber, è possibile forse ritenere il vecchio professore come suo alter ego. Mi rimane il dubbio che lo Sperber saggista sia più avvincente e vivo dello Sperber narratore, ma temo che anche questo libro sia ormai scomparso nel nulla.