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letteratura russa

Trifonov, “Lungo addio”

JURIJ TRIFONOV – “Lungo addio” – Einaudi

La trilogia “Lungo addio”, composta da tre romanzi brevi (“Lo scambio”, “Conclusioni provvisorie” e “Lungo addio”) costituisce una evoluzione del continuum narrativo di Trifonov che ha il suo inizio nel romanzo “La casa sul lungofiume”, l’opera più nota di uno di quegli scrittori russi degli anni ’60 che hanno testimoniato e denunciato nei loro scritti gli orrori dello stalinismo (l’autore stesso era figlio di un bolscevico vittima dei gulag staliniani). E’ quindi utile, per comprenderla pienamente, tornare a quella casa e al romanzo che la vede come simbolo, palcoscenico e protagonista. La casa sul lungofiume è un palazzo di Mosca abitato da funzionari medio-alti del partito e del governo, simbolo del terrore che caratterizzava la vita russa sotto Stalin.

Il romanzo è costruito con la tecnica del flashback ed è costituito, come una pièce teatrale, da un antefatto e da tre atti (ambientati in anni diversi). Il lettore può così assistere alle vicende che coinvolgono alcuni degli abitanti della casa negli anni trenta, negli anni cinquanta e, infine, negli anni settanta, quando ormai la casa, trasformata in teatro di varietà, è destinata ad una lenta e inarrestabile decadenza. Questo è il romanzo della memoria, alle  sue pagine Trifonov affida il compito di mostrare l’evoluzione di una società, passata attraverso l’esaltazione di un ideale, la tentazione del tradimento e della delazione per sopravvivere alla sua degenerazione, per poi raggiungere la meta deludente del più vuoto conformismo.

“Lungo addio” costituisce una sorta di quarto atto di questa pièce teatrale. Ma il palcoscenico su cui si svolge è cambiato e l’intento dell’autore è ormai lontanissimo da qualsiasi denuncia sociale o politica, anzi, qui Trifonov sembra volutamente restare lontano da qualsiasi tema politico e concentrarsi invece esclusivamente sugli esseri umani e sulle loro coscienze, sulla realtà quotidiana di personaggi che appartengono tutti al ceto medio intellettuale delle grandi città russe. Certo, necessariamente molti aspetti della Russia post-staliniana emergono come costante nei tre romanzi ma restano comunque sullo sfondo delle vicende narrate: la burocrazia che appare lenta, farraginosa e inconcludente, il problema degli alloggi che sembra centrale per la maggior parte delle famiglie e che costringe ancora a convivenze forzate, lo scarso prestigio che viene dato al lavoro intellettuale, la corruzione che dilaga a tutti i livelli, l’urbanizzazione selvaggia, ecc… Questo è lo sfondo sul quale si stagliano esistenze mostrate nella loro fatica di vivere, perché il lungo addio è proprio la vita, fatta di attese e di cadute, di amori sempre difficili che si consumano con estenuante lentezza, di incertezze e solitudini, di durezze e di rancori. E’ proprio qui che si rivela la grande arte di Trifonov, nell’uso “affettuoso” e “accurato” della parola che sembra avvolgere i personaggi per preservarli e risparmiarli, nella persistente nostalgia che pervade il presente che è ancora vivo ma ha già in sé i segni della rovina, nella capacità di cogliere ogni più piccola “malformazione dell’anima”, ogni “atrofia dei sentimenti”.

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Antonio
11 years ago

Stavo per prendere questo libro l’altro giorno, prima di virare su Jan Neruda. La tua recensione è un ulteriore spinta a leggerlo. 🙂

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[…] (che vi consiglio per le sue accurate e numerose recensioni), che con un suo articolo mi ha convinto a prendere dallo scaffale della biblioteca il volume, che già da tempo avevo […]