FRANCESCO BIAMONTI – “L’angelo di Avrigue” – Einaudi
“Una luce radente spianava il mare e lo sollevava nelle insenature; anche al largo esso si alzava sino a cozzare contro il cielo. Un altro mare, d’ombra, scendeva dalle catene rocciose”.
“Gli alberi…se lo sguardo potesse fermarvisi, sarebbero di nuovo un austero approdo in confronto a quel mare alto e muto come un cielo”.
“La collina era irruvidita nel lungo tramonto. La notte non riusciva a toccare gli ulivi soprani trasformati in vaste farfalle nere. Era arrivata una di quelle tristissime sere in cui sul mare si sentiva lo stridio del ferrame”.
“Ci sono romanzi-paesaggio così come ci sono romanzi-ritratto. Questo vive, pagina per pagina, ora per ora, della luce del paesaggio aspro e scosceso dell’entroterra ligure, nell’estremo suo lembo di Ponente, al confine conla Francia.Lavoce narrante è quella di un marinaio che non prova nessuna impazienza d’un nuovo imbarco (patisce il “male del ferro”, l’angoscia che la lamiera dei cargo trasmette durante le lunghe traversate) ma anche se ama la sua terra più del mare, la gioia che ne trae gli sa sempre d’amaro. E’ una voce grave e pausata, con una naturale propensione per i toni lirici e sospesi; ma il suo vocabolario è ricco di parole vere e insolite e precise, che vengono dal linguaggio parlato a ridosso delle Alpi Marittime. Come seguendo una tacita morale liberatoria, il protagonista si rifiuta di giudicare il modo in cui ogni individuo spende la propria vita; ma vorrebbe comprendere cos’è quella spinta di autodistruzione che si sente nell’aria; e i suoi andirivieni lo portano a indagare sulla morte misteriosa d’un giovane. Quattro personaggi di donne, ognuna con una sua ossessione, incrociano i suoi passi; ma le solitudini sommandosi non s’annullano”. Così scriveva Italo Calvino presentando il primo romanzo di questo grande e schivo scrittore ligure.
Francesco Biamonti nacque a San Biagio della Cima (Imperia) nel 1928. Critico e narratore, dopo anni di vagabondaggio tra Francia e Spagna lavorò a lungo come bibliotecario a Ventimiglia, conducendo una vita ritirata all’insegna degli studi. A questo suo primo romanzo, pubblicato da Einaudi nel 1983, seguirono “Vento largo” (1991), “Attesa sul mare” (1994) e “Le parole la
notte” (1998). È morto a San Biagio della Cima nel 2001, lasciando un ultimo testo, “Il silenzio”, pubblicato incompiuto due anni più tardi. I personaggi del romanzo, solo accennati, mutevoli come il paesaggio in cui si muovono, ma altrettanto incisivi e intensi, nelle poche parole e nei grandi silenzi, sono contadini in pensione dopo una vita di fatica, un prete troppo buono che tiene davvero alle sue anime, le donne senza speranza che si regalano per un po’ di calore, i ragazzi incapaci di accoglierle, già perduti da sempre, già bruciati. E poi c’è Gregorio, il protagonista che, con altri nomi, è lo stesso personaggio che si ritrova in tutti i romanzi di Biamonti e, in definitiva, è lui stesso, con i suoi silenzi pensosi, il suo amore per quella terra e per quel mare, l’amarezza e la disillusione che diventano saggezza e capacità di comprendere senza giudicare. Leggendo questo libro, quello che in definitiva appare più trascurabile è la trama, sempre appena accennata, poco più di un pretesto. Quello che rimane impresso è il paesaggio, è la luce mutevole di questo paesaggio, e sono le parole che lo fanno respirare. Biamonti era grande amico di Morlotti e appassionato di pittura. Forse da lì vengono la sua attenzione meticolosa per il paesaggio e la capacità di cogliere il trascolorare della luce in uno scenario impervio, sospeso tra l’orizzontalità del mare e l’immensità del cielo. Impasti cromatici e bagni di luce, ma anche parole che attengono alla poesia lirica usate in prosa, questo forse è il segreto che rende questo libro unico nel suo genere. Riguardo all’arte Biamonti diceva: “L’arte ha questo ruolo: restituire l’emozione che dà il mondo, la vita, la contemplazione della rovina, la contemplazione del sorgere della vita. L’arte è emozione che diventa forma. Parte da un’emozione che, se non diventa forma, rimane un grido, un gemito”.
E di se stesso: “Io sono da cancellare. La mia vita non conta nulla; i miei natali non hanno importanza; il mio paese è insignificante. Si fa della letteratura perché non si è contenti della propria vita. Non credo alle biografie”.
“Nel mio romanzo Dio si allontana, si allontana dal mondo fino alla riva del silenzio”.