THOMAS BERNHARD – “L’origine” – Adelphi
Traduzione di Umberto Gandini
Perché eleggere Bernhard a nume tutelare, a pietra di paragone, a irraggiungibile meta, perché sceglierlo come supremo ideale letterario, con tutto quello che l’aggettivo letterario significa per me. La prima più istintiva risposta è epidermica: sono stata quasi subito conquistata da uno stile che appare straordinariamente volitivo e “arrogante”, che sembra voler prendere le distanze dal lettore, che si propone di allontanarlo, estenuarlo, deluderlo, che non indulge a compromessi, che non conosce piaggeria. Ad ogni insistente ripetizione dello stesso concetto e delle stesse parole, ad ogni lunghissimo periodo che è variazione di quello precedente, B. sembra volersi scrollare di dosso i lettori, o, almeno, quelli non determinati.
Iniziare a leggere i suoi scritti assomiglia ad una sfida e la sfida, in questo magnifico gioco che è la letteratura, può essere entusiasmante. Insomma, epidermicamente le sue parole trasmettono l’eco di un carattere che, presumo, possa essere solo amato oppure odiato. (Personalmente non sopporto gli scrittori che proclamano di scrivere per i lettori, di essere al loro servizio, personalmente ritengo che la letteratura non debba “servire” a nulla e non essere al servizio di nessuno). Se si supera questa fase, la fase dello sconcerto, si arriva a “sentire” la musicalità di questo stile, che, come è stato ampiamente scritto, corrisponde appunto a quella che in musica viene chiamata variazione. Ma, ovviamente questa è solo la superficie. Perché leggere B. significa inoltrarsi nelle tenebre. Ma non è certo l’unico autore contemporaneo che si aggira nei territori della mancanza di senso. Spesso, pensando ai suoi libri (indifferentemente ai romanzi o ai testi teatrali, perché la dimensione teatrale è prevalente anche nella sua narrativa – B. è sempre e comunque un drammaturgo), c’è una parola che mi risuona nella testa, una parola che ho letto tempo fa in un saggio di Magris, questa parola è geometria. Allora che cosa fa B. di questa tenebra? Prima di tutto la rappresenta, ovvero la mette in scena, usando tutti i materiali a sua, e nostra, disposizione. Basta affacciarsi al baratro per contemplare la tenebra e le vie che conducono al baratro sono varie e mutevoli, ma tutte portano lì. E’ a questo punto che si dispiega l’arte bernhardiana. Dove chiunque si fermerebbe, lui procede: apre bene gli occhi e lo fissa senza mai abbassare lo sguardo, lo misura con i suoi strumenti come se fosse un oggetto di cui misurare le dimensioni, lo fa con ordine e scrupolo, B. è il geometra delle tenebre, è colui che sta in bilico sull’abisso, a un passo dalla follia, a un soffio dalla malattia mentale e, con carta e penna, prende le misure di questo ultimo straccio di realtà che oggettivamente ci appartiene. Insomma, sono convinta che i romanzi e i drammi di B. non siano altro in realtà che variazioni dello stesso romanzo o dello stesso dramma e che i suoi personaggi non siano altro che lo stesso personaggio affetto da una sorta di pazzia che, come dice ancora Magris, non annienta la coscienza. Non so se ho risposto alla domanda, forse ho dato una risposta iniziale che, credo, approfondirò.
Devo stare attenta quando entro nel tuo blog, perché poi leggendoti perdo la cognizione del tempo, passo da un articolo all’altro e non finirei più… hai creato un archivio veramente ricco e intrigante. Confesso che molti autori non li conosco, come appunto Bernhard, ma le tue opinioni qui sopra sono così invitanti che avrei la tentazione di acquistare subito il libro… “il geometra delle tenebre”, bella questa definizione…
Grazie cara Alessandra, mi fa sempre piacere poter essere la tramite di un incontro con Bernhard… Tutta la sua produzione è un universo da esplorare e, se ami il teatro, potresti felicemente perderti, come è capitato a me, che non sono più uscita dal suo mondo. Un carissimo saluto. Anna