VACLAV HAVEL – “L’Opera dello Straccione e altri testi” – Garzanti
“Nell’autunno del 1963 l’atmosfera culturale piuttosto stagnante di Praga, la “città d’oro”, che sembrava immersa in un sogno destinato a durare immutato nei secoli, come le statue di Braun che dal ponte di Carlo si specchiano nella Moldava, fu improvvisamente scossa da un fremito: un giovane e sconosciuto autore, approfittando dell’allentarsi dei freni della censura, frutto tardivo di una cauta destalinizzazione, aveva portato sulla scena di un teatrino sperduto nei vicoli della Città Vecchia una commedia che pochi avevano visto – il teatro aveva solo duecento posti – ma di cui tutti parlavano e che tutti volevano vedere.” Sembra l’incipit di una favola, ma è l’inizio della Postfazione di Gianlorenzo Pacini.
“Finalmente la musica tace del tutto, ogni movimento sulla scena si arresta e tutti i personaggi fissano la platea in atteggiamento sempre più rigido. Segue un lungo silenzio di tomba e lo sguardo dei personaggi assume una fissità addirittura spettrale, effetto che può venire messo in risalto anche dall’illuminazione, giacchè le luci sulla scena cominciano ad abbassarsi gradatamente. Quando questo spettacolo allucinante di morte si va ormai facendo intollerabilmente lungo, ecco che il sipario comincia a calare lentamente; quando finalmente si chiude del tutto, si ode in lontananza il fischio del treno.” Sono solo indicazioni di scena, ma hanno il potere di governare il tempo, e il drammaturgo che controlla i tempi possiede uno stile, e lo stile è sovversivo.