RICHARD FORD – “Rock Springs” – Feltrinelli
Un’incursione nella letteratura americana contemporanea, un breve soggiorno in un territorio che non è il mio, l’incontro con una scrittura nitida, cristallina e sorprendentemente onesta. Dieci racconti brevi, nei quali è racchiuso un paesaggio, che diventa immediatamente familiare, ed entro i quali si muovono personaggi che non sembrano aver bisogno di una riga in più per manifestare la loro essenza. Richard Ford mi ha riservato parecchie sorprese, prima fra tutte quella di uno stile che permette al lettore di entrare con facilità nel suo mondo letterario, cosa per nulla semplice né scontata. Ci si accorge presto leggendo questi racconti che i loro incipit, diretti, essenziali, quasi affrettati, hanno lo scopo di preparare il terreno, di disegnare delle coordinate, di delineare il quadro generale di una situazione che, nel corso del racconto, in un modo o nell’altro, subirà un mutamento decisivo e che proprio su questo mutamento l’autore vuole che il lettore si soffermi. Come, d’altra parte, ci si abitua presto ad individuare il punto in cui, in ogni racconto, la penna di Ford rallenta fino alla sospensione, si impadronisce di un piccolo squarcio di realtà, di un particolare in apparenza insignificante, e lo trasforma in qualcosa di prezioso, lirico e persino commovente.
“Poi Lois chiuse lo sportello e danzando passò davanti alla macchina, sotto la pioggia, con le stelle filanti, roteando le braccia nell’aria, sorridendo festosamente e tracciando per lui svolazzi, ghirigori e mulinelli che risplendevano e illuminavano la notte e la pioggia rutilante e la casetta buia alle sue spalle e che, per un istante, sorpresero il mondo e lo fermarono, come se qualcosa d’improvviso e di perfetto fosse sceso sulla terra in un riverbero accecante per lui e solo per lui – per Eddie Starling – e solo lui potesse vedere e ascoltare. E solo lui sarebbe stato lì, in attesa, quando infine la luce fosse andata via”. Tutto ciò è però giustificato dalla particolare natura dell’umanità che l’autore sceglie di rappresentare e delle storie che sceglie di raccontare. Non c’è nulla di clamoroso e di altisonante in queste pagine, ma non c’è, mai, nulla di banale in queste vite così apparentemente banali. Certo, si tratta di uomini che si potrebbero facilmente definire degli sconfitti, persone che al massimo riescono con fatica a sopravvivere e a non soccombere ai fallimenti lavorativi, sentimentali e familiari, ma possiedono, tutti, una dignità che li accomuna e che li rende molto simili, indipendentemente dalle situazioni diverse in cui si trovano a vivere. Si muovono nella vita cercando una meta, ma già convinti che non sarà possibile raggiungerla o che comunque non potrà essere quella definitiva. Hanno alle loro spalle un pezzo di vita già trascorsa, ma sono come privi di radici, sono come orfani di se stessi e hanno nello sguardo già abbondantemente adulto, lo stupore di un bambino abbandonato. Gli eroi di Ford sono accomunati dalla disillusione, ma non conoscono amarezza o rancore, è questo che si scopre con sorpresa nelle sue pagine. La sconfitta che non genera odio, ma una sorta di sofferta saggezza, la disillusione che non genera aridità, ma la dolorosa meraviglia che non ci sia, per nessuno, null’altro da sperare nella vita. “E Sims aveva l’impressione di essere solo in un impero sconfinato, impassibile e fluttuante, chetato, come se la vita fosse ormai lontana, come se tutt’intorno regnassero le tenebre, come se l’unica luce l’avessero le stelle”.