GEORGES BATAILLE – “L’azzurro del cielo” – Einaudi
“Lo so.
Morrò in condizioni disonoranti.
Oggi, mi compiaccio d’essere oggetto d’orrore, di disgusto, per l’unica persona cui sono legato.
E’ quel che voglio: quel che di peggio può capitare a un uomo che ne rida.
La testa vuota, in cui io sono, è diventata così paurosa, così avida, che solo la morte la può appagare.”
Ho letto tempo fa i saggi di Bataille su Bronte, Baudelaire, Michelet, Blake, Sade, Proust, Kafka e Genet, contenuti nel volume “La letteratura e il male” e li ho trovati estremamente ricchi ma, soprattutto, permeati da una visione libera e acuta della letteratura, tesa ad individuare in ognuno degli autori considerati la capacità di violare le convenzioni, di infrangere i divieti, di inoltrarsi, mediante la scrittura, nel territorio della trasgressione e della sovversione. Bataille considera autentica solo quella letteratura che è in grado di compiere atti di coraggio, di mettere in discussione le norme convenzionali; il vero scrittore, secondo il suo pensiero, è “cosciente di essere colpevole e per lui il peccato o la condanna non sono l’occasione forzata del pentimento, ma il culmine della sua realizzazione”. Aspettavo quindi l’occasione di imbattermi in una delle opere letterarie di questo filosofo e intellettuale fondamentale nella cultura francese del Novecento, che ha avuto stretti contatti con la cerchia dei surrealisti (entrando in polemica con Breton) e che, per molti aspetti, è riconducibile alla corrente filosofico-letteraria dell’esistenzialismo (anche se Sartre ebbe a definirlo paranoico e folle). L’ho fatto leggendo questo suo romanzo, molto meno noto di “L’erotismo” o di “Storia dell’occhio” ma, forse, il suo più poetico (e poesia è per Bataille “ricerca dolorante”).
Non posso definire queste pagine una lettura facile; non è immediata la sensazione di essere di fronte ad un libro necessario (che l’autore è stato “costretto” a scrivere – si chiede Bataille nel suo scritto introduttivo: “Come si può perdere tempo con libri alla cui creazione l’autore non sia stato manifestamente costretto?”) ma, ne sono convinta, si tratta nel suo genere di un piccolo capolavoro. Per accorgersene bisogna però arrendersi alla provocazione, accettare di entrare senza scrupoli né paure nella taverna dei bassifondi londinesi (“incomparabilmente sordida”), il primo dei luoghi sporchi di sporca umanità in cui l’autore ci conduce, per incontrare Dirty, naturalmente ubriaca, la prima delle belle e dannate in cui ci imbatteremo. Bisogna rassegnarsi all’eccesso, imparare a viverci per un po’, vaccinarsi contro i suoi effetti più disgustosi: non c’è altra strada percorribile per arrivare a scorgere l’azzurro del cielo. Bataille ne è ben consapevole e avverte il lettore nella sua Prefazione: “… solo un tormento mio personale è all’origine delle mostruose anomalie de L’azzurro del cielo”. Se la prima prova da superare è quindi il disgusto, la seconda è l’irritazione. Perché Bataille è uno scrittore irritante, il suo mondo costantemente ai margini è disarmonico e inconcludente, ma ipnotico, tiene avvinto il lettore, lo trascina in luoghi e in situazioni che vorrebbe evitare o da cui vorrebbe presto fuggire. La forza trascinante, il vero dono di Bataille, è la sua capacità di comunicazione. Jacques Réda, nella Prefazione, definisce questa forza “urto affettivo”: “Nel turbamento che ci coglie al contatto con certe opere, si manifesta qualcosa che è la comunicazione pura, l’equivalente delle lacrime e del riso scatenato; e questa comunicazione in un certo senso religiosa, è ciò che noi ricerchiamo nella poesia e in tutti quei testi che, in forme diverse, dispensano un’intensa emozione poetica”. Aggiungo solo che chi avrà l’avventura di leggere questo romanzo verrà premiato dall’incontro con due pagine magistrali, entrambe collocate verso la fine, che hanno a che fare con l’amore e con la morte, il disincanto ostile che lega un uomo e una donna, che si tramuta in passione dolorosa consumata sulla nuda terra di un cimitero, e lo spettacolo terrificante della banda di bambini nazisti che suonano invitando alla guerra e all’assassinio, e Bataille sa bene come farci capire dove sta l’aspetto osceno della vita.