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letteratura russa

Černyševskij, “Che fare?”

NIKOLAJ GAVRILOVIC CERNYSEVSKIJ – “Che fare?” – Garzanti

Černyševskij appartiene al gruppo degli intellettuali democratici russi che, nella seconda metà del 1800 a Pietroburgo, in contrasto con la politica riformatrice dello zar Alessandro II, si riuniscono intorno alla rivista “Il contemporaneo”, fondata da Puskin, ed iniziano a diffondere quelle idee liberali che aprono la via alla rivoluzione. Černyševskij, considerato il dirigente del movimento rivoluzionario, fonda nel 1861 a Pietroburgo la società segreta “Terra e libertà”, viene arrestato e recluso nella fortezza di Pietro e Paolo dove, fra il 1862 e il 1863, scrive il suo primo romanzo, “Che fare?”. Il romanzo nasce dunque con un intento chiaramente propagandistico, come romanzo a tesi, per sostenere, illustrare e diffondere quelle stesse idee per le quali il suo autore sta pagando con la prigionia. D’altra parte, Černyševskij considera la letteratura come uno strumento che può servire a risvegliare la coscienza del popolo russo, perché è proprio in essa che si concentra la vita intellettuale del suo paese. Essendoci un rapporto diretto fra la letteratura e la vita, quest’ultima può essere una forza che dirige lo sviluppo della vita collettiva.

Le tematiche del romanzo possono quindi essere considerate i punti programmatici del pensiero politico dell’autore, i protagonisti della vicenda narrata sono coloro che Černyševskij considera gli uomini e le donne ideali del prossimo futuro, la realtà sociale che lentamente essi modificano e quella che sanno costruire attraverso le difficoltà rappresenta il suo sogno utopistico. Il cuore del romanzo consiste in una concezione radicalmente innovativa per l’epoca del rapporto uomo-donna, proprio perché l’autore lo considera il rapporto basilare su cui si fonda la società. Messe al bando convenienze ed ipocrisie, Černyševskij si fa portavoce della necessità di creare tra i due sessi un rapporto vantaggioso per entrambi, basato, prima di tutto, sull’amicizia, considerata ancora più importante dell’amore. Non si può quindi prescindere dall’uguaglianza assoluta tra i sessi, che si può raggiungere, considerate tutte le imposizioni sociali, solo attraverso piccoli, ma decisivi, atti rivoluzionari. Così esclama Vera Pavlovna, l’eroina del romanzo: “Solo questo so, che a nessuno voglio mai soggiacere, che voglio esser libera, che non voglio esser obbligata a chicchessia per non sentirmi dire: tu hai il dovere di far per me questo e quest’altro! Voglio fare esclusivamente quel che vorrò fare, e facciano pur gli altri allo stesso modo; a nessuno chiedo niente, di nessuno voglio costringere la libertà, e voglio, voglio, esser libera io stessa!”. E’ implicita, ma anche più volte espressa nelle pagine del romanzo, la critica alle convenzioni sociali dell’epoca. I personaggi di Černyševskij, soprattutto Vera Pavlovna, Lopukhov e Kirsanov, che la aiutano a liberarsi e a realizzarsi come persona, prima ancora che come donna, sono da considerarsi come modelli di una scelta rivoluzionaria, non tanto perché partecipano ad eventi o ad azioni politiche, che nel romanzo sono del tutto assenti, ma perché sanno assumere atteggiamenti innovatori e sanno sostenere e difendere con passione scelte di vita anticonvenzionali. Černyševskij sembra però consapevole del fatto che possedere l’istinto e il coraggio della libertà non sia sufficiente e che questo dono richieda invece continua attenzione, sensibilità e intelligenza, affinchè il proprio modo di vivere, la propria condotta personale, non ricadano negli errori del passato, non siano cioè nuovamente guidati dall’egoismo e dal desiderio di acquisire potere sugli altri. Ecco allora che i suoi personaggi si sottopongono  a continui esami di coscienza e ad affettuose e reciproche critiche, al fine di verificare l’impostazione etico-sociale dei propri comportamenti. Altro tema fondamentale del romanzo, questo prettamente economico e sotto molti aspetti utopistico, riguarda l’organizzazione del lavoro, perché Vera, l’eroina emancipata, tra una presa di coscienza e l’altra, sarà in grado di organizzare e di gestire dei laboratori di sartoria, basati su una organizzazione produttiva di tipo cooperativistico, con distribuzione egualitaria dei profitti e processi educativi interni alla produzione stessa. Non manca in “Che fare?” una proiezione dello stesso autore, il personaggio di Rakmetov, dirigente rivoluzionario e, come se non bastasse, la stessa voce di Černyševskij, che interrompe più volte la narrazione e si rivolge direttamente al lettore, per discutere intorno alle  sue supposte impressioni di lettura. Per quanto fin qui detto, è evidente che la fama del romanzo non è tanto legata al suo valore letterario, quanto ai suoi contenuti rivoluzionari. Ovviamente, date le condizioni della sua composizione e la condanna del suo autore, esso viene inizialmente conosciuto in Russia solo attraverso copie clandestine e viene pubblicato solo nel 1905. Da questo momento diventerà però un testo formativo della nuova generazione rivoluzionaria e lo stesso Lenin sceglierà addirittura il titolo di questo romanzo per il suo libro sulla concezione del partito bolscevico. Non ho apprezzato particolarmente la lettura di “Che fare?”, ma questo romanzo rimane per me indissolubilmente legato alla figura di Lili Brik e, di conseguenza, di Majakovskij. Leggendo il bel libro di Ann e Samuel Charters, “Majakovskij e Lili Brik, una storia d’amore”, una biografia del poeta che si basa su numerosissime testimonianze dirette della donna da lui tanto amata, apprendo che la stessa convivenza a tre di Lili, suo marito Osip e Majakovskij e i loro rapporti trovavano una giustificazione e una motivazione in questo libro, la cui influenza fu profondamente sentita da intere generazioni di intellettuali marxisti. Ecco le parole di Lili: “Černyševskij con la sua opera Che fare? era il nostro portavoce. Se dovevamo risolvere un problema, ci si presentavano due possibilità: consigliarci fra noi o consultare Černyševskij, la cui filosofia era da noi condivisa. L’ultimo libro letto da Majakovskij fu probabilmente Che fare?, dato che il volume era ancora vicino al divano. […] Noi immaginavamo un tipo di vita perfetta. Era quello consigliato da Černyševskij. Ogni nostro pensiero era guidato da lui. Se volete capire la relazione esistente fra noi, se volete cogliere l’essenza della nostra vita a tre, dovete leggere Che fare? L’amicizia profonda ed eterna che ci legava non ha mai smesso di esistere, neppure oggi, dopo la scomparsa di Brik e Majakovskij.” Lili affermava che il proprio amore per Majakovskij poteva essere capito solo se visto nella prospettiva di questo libro e che, quando il poeta divenne parte della sua vita, ebbe l’impressione di rivivere le situazioni descritte da Černyševskij. Lili si riteneva l’emula di Vera Pavlovna e considerava sacra ogni parola di questo romanzo: una ragione più che sufficiente per leggerlo.

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Antonio
12 years ago

Complimenti per la recensione. Aggiungo che neanch’io restai entusiasta dalla lettura, forse per l’eccessiva aspettativa con la quale mi ci avvicinai all’epoca.

caterina
caterina
11 years ago

E invece è confortante ritrovare in un romanzo-manifesto come questo utopie così forti, ideali così convincentemente dichiarati,parità di diritti di “genere” messi in atto e non solo ipocritamente accettati; e ancora il rifiuto della forma più biecamente egoistica del capitalismo…e palpiti di passione amorosa senza le svenevolezze del tardo romanticismo!Non è poi così strano che Lenin e la sua compagna amassero questo romanzo prerivoluzionario. E noi ci dimeniamo , diibattendo di neo, postmodernità…