HUGO VON HOFMANNSTHAL – “Ieri” – Edizioni Studio Tesi
“E non si muta forse in metafora ogni cosa
per dare voce ai nostri tormenti e alle nostre gioie?”
“Ieri” (“Gestern”) rappresenta l’esordio drammatico del giovanissimo Von Hofmannsthal, che lo compone nel 1891, a diciassette anni. L’anno precedente erano già apparse le sue prime poesie, firmate con lo pseudonimo Loris Melikov, perché a quel tempo, a Vienna, ai ginnasiali non era permesso pubblicare e Hofmannsthal frequentava l’Akademisches Gymnasium della capitale imperiale. Sono queste prime opere ad attirare su di lui l’attenzione dei giovani intellettuali che, di lì a poco, daranno vita al gruppo della “Jung-Wien”, Schnitzler, Beer-Hofmann, Salten, Bahr, George, e che il giovane scrittore avrà occasione di conoscere, frequentando il Cafè Griensteidl, il punto d’incontro della nuova generazione di letterati viennesi. A questo gruppo si unirà più tardi anche Stefan Zweig che, nel suo libro “Il mondo di ieri”, vero e proprio breviario viennese e insieme autobiografia intellettuale nonché racconto dell’epopea della “Felix Austria”, dà testimonianza dell’apparizione del giovane poeta e drammaturgo nel fervido ambiente culturale della Vienna di fine secolo. Zweig riporta le impressioni e i ricordi di Scnitzler, allora considerato il capo della “Giovane Vienna”, relativi al suo primo incontro con Von Hofmannsthal. Su richiesta del ragazzo, viene organizzata una serata durante la quale egli legge la sua opera teatrale in versi (proprio “Ieri”). Tutti si aspettano di sentire uno dei soliti componimenti teatrali da studente, sentimentale e pseudiclassico. Hofmannsthal si presenta in calzoni corti, nervoso e intimidito e comincia a leggere. Ecco cosa racconta Zweig: “Dopo alcuni minuti – mi narrava Schnitzler – ci facemmo attenti e cominciammo a scambiarci sguardi stupiti, quasi atterriti. Non avevamo mai udito da un vivente versi di tale perfezione, di tale plasticità impeccabile, di tale fluidità musicale; anzi dopo Goethe non li avevamo quasi ritenuti possibili. Ma ancor più mirabile di questa maestria della forma, unica e non più raggiunta da alcuno nella lingua tedesca, era la conoscenza del mondo, la quale in un ragazzo che passava la giornata sui banchi di scuola, non poteva venire che da una magica intuizione. […] Io, mi disse Schnitzler, avevo la sensazione di avere incontrato per la prima volta un genio nato e mai in tutta la mia vita l’ho sentito così fortemente”. Un ragazzo prodigio, quindi. Inutile dire che ben presto questo poeta “puro e sublime” diventa punto di riferimento della giovane generazione viennese.
Nello stesso libro, Zweig, ricordando il suo primo incontro con lui, ne fa un ritratto, indubbiamente letterario e funzionale al tono intenso e suggestivo dei suoi ricordi giovanili, ma anche acuto e rivelatore del carattere, degli atteggiamenti e della magica forza dell’”inventore di canti sonori e di sprizzanti dialoghi” (così, dice Zweig, George definiva Von Hofmannsthal): “H., coi baffetti morbidi appena accennati e la figura elastica, sembrava ancor più giovane di quanto mi fossi aspettato. Il volto, dal profilo deciso e dal colorito italianamente scuro, appariva teso e nervoso. A quest’impressione contribuiva l’inquietudine degli occhi scuri e vellutati, ma molto miopi; egli sembrò lanciarsi con un tuffo nel discorso, come un nuotatore nelle onde a lui familiari e quanto più procedeva, tanto più liberi divenivano i suoi gesti, più sicuro il suo atteggiamento. Appena immerso nel mondo dell’intelletto (lo osservai più tardi anche spesso in colloqui privati) passava dall’iniziale timidezza a una meravigliosa e vibrante lievità, come accade all’artista ispirato. Solo alle prime frasi mi accorsi che la sua voce non era bella, spesso vicina al falsetto, con facili sbalzi, ma subito il discorso ci sollevò tanto in alto che non ci avvedemmo più né della voce, né quasi del volto. Parlava senza manoscritto, senza appunti, forse anche senza una preparazione esatta, ma dal magico senso della forma, in lui innato, ogni frase traeva una perfetta armonia. Si snodavano stupefacenti le antitesi più temerarie, per sciogliersi poi in formule limpide e pur sorprendenti. Sentivamo che quanto ci veniva offerto non era che il dono casuale attinto da una ben maggiore pienezza e che egli, ispirato e sollevato in una sfera superiore, avrebbe potuto continuare a parlare così per ore e ore, senza impoverirsi e senza abbassare il proprio livello”. Dalle parole di Zweig risulta evidente che l’apparizione delle opere giovanili di Hofmannsthal a Vienna provocano consensi ammirati e stupefatti, un successo forse addirittura maggiore rispetto a quello che avranno le opere della sua maturità. I suoi primi scritti, quelli composti tra i 16 e i 24 anni, frutto di una purissima ispirazione, vengono apprezzati dagli inquieti e “ferventi” rappresentanti della Jung-Wien per la loro “perfezione da sonnambulo”. Il giovane Hofmannsthal sembra precorrere e incarnare quel personaggio letterario musiliano, il giovane Torless, che vedrà la luce solo all’inizio del nuovo secolo, con i suoi turbamenti e la sua ricerca di “una segreta vita delle cose, segreta ed ignorata” e, per continuare il gioco di commistione tra realtà e letterarietà, il giovane Hofmannsthal sembra già destinato a trasformarsi nell’adulto Lord Chandos, la sua creatura più definitiva. Il dramma lirico “ieri” è costituito da dieci scene brevissime ed è ambientato ad Imola, nel primo Rinascimento, nel palazzo di Andrea, giovane aristocratico, che vive circondato da amici-artisti, da opere d’arte e da oggetti preziosi e raffinati. Nel dramma, ma questo è tipico nell’opera di Hofmannsthal, già si intravvede in nuce sia “L’uomo difficile”, la più alta vetta del suo teatro, sia il romanzo incompiuto “Andrea o i ricongiunti”, pubblicato postumo. L’innovazione di “Ieri” dal punto di vista teatrale è semplice e geniale: quando il sipario si apre, l’unica azione è già compiuta. Un teatro senza azione è, per forza, un teatro di parola, il dramma si svolge nell’animo di un solo personaggio e non è che la rappresentazione scenica dello scontro tra due visioni del mondo, le due anime che il giovane Hofmannsthal già vive come conflitto: la prosa della vita e la “sacra magia dell’arte”. Solo il teatro sembra poter contenere ciò che in apparenza è inconciliabile e in questo l’autore segue la lezione di un grande maestro: Ibsen, il drammaturgo che a quel tempo era più ammirato dall’avanguardia viennese. Il teatro contiene l’inconciliabile, inserendolo in uno “schema di declamazione” e su questo schema è costruito “Ieri”: ogni sentimento e ogni contatto umano è qui irretito nella rete dell’eloquenza dei protagonisti, come ben sottolinea Roberta Ascarelli nella ricchissima Introduzione al presente volume. Ed è lo stesso Hofmannsthal a spiegarlo: “I protagonisti vivono una vita impastata di ombre, quasi non conoscono cosa sia l’azione, cosa sia la realtà, solo pensieri, stati d’animo e lievi disappunti. Poco è ciò che vogliono, quasi nulla ciò che fanno. Pensano il loro pensare, sentono le proprie sensazioni ed esercitano una sorta di autoanalisi”. “Ieri” è quindi un esperimento scenico originale: l’azione è già successa, ieri, appunto, e la scena che si apre davanti allo spettatore non fa che mostrare le autoanalisi che, proprio sul finire del secolo, riempiono le pagine di diari e di romanzi. “Ieri” è avvenuto il tradimento, ieri la vita ha avuto il suo corso, oggi si mette in scena la riflessione sul tempo e sul senso dell’arte:
“Lentamente il tempo tesserà tra queste mura,
diafano e regale, il puro manto del cordoglio
e il dolore che oggi proviamo per ciò che non si compie
ci donerà domani sogni lievi, magnifici e penosi”.