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letteratura tedesca

Wassermann, “Il tumulto intorno allo Junker Ernst”

JAKOB WASSERMANN – “Il tumulto intorno allo Junker Ernst” – Sellerio

Essere ebreo, povero e tedesco, e vivere gli anni della propria maturazione intellettuale nel difficilissimo periodo del primo dopoguerra, assistere con lucida consapevolezza alla inarrestabile ascesa politica del nazismo, spegnersi infine un anno dopo la nomina di Hitler a cancelliere del Reich, prevedendo i cupi scenari che si andavano preparando per la Germania e per il mondo e portando con sé il dolore di non aver potuto pubblicare il suo ultimo romanzo nella sua patria, perché nessuna casa editrice tedesca era disposta ad accettare l’opera di un autore di origine ebraica. Questa è stata la sorte di uno scrittore, nonostante tutto, molto prolifico, apprezzato e amato da tanti grandi intellettuali a lui contemporanei, ma di lui molto più noti. Suo amico, estimatore e nume tutelare, Thomas Mann, affida ad una sorta di necrologio , lo scritto “Un saluto a Jakob Wassermann”, non solo l’espressione dei suoi sentimenti per l’amico, ma anche una indicazione di lettura, semplice ed efficace, il punto di vista da cui partire per apprezzare la sua opera: “Chi o che cosa è Jakob Wassermann? Un narratore. Egli è innanzitutto nient’altro che questo. Un favoleggiatore di sangue e d’istinto, nessun altro tra noi è come lui. Talvolta gli ho detto, scherzando, che potrebbe starsene seduto, a gambe incrociate, sulla riva degli Schiavoni, o in qualche mercato orientale, e narrare – narrare – e la gente starebbe attorno a lui ad ascoltarlo, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata”. Ebbene, credo che nessuna delle opere di Wassermann corrisponda maggiormente – per struttura, ambientazione, personaggi – all’osservazione di Thomas Mann, del romanzo “Il tumulto intorno allo Junker Ernst”.

Si tratta in fondo di una lunga fiaba, costruita intorno alla figura del giovane Ernst; è il racconto della sua maturazione come narratore, in mezzo all’incomprensione, al sospetto e allo scandalo che il suo dono e la sua propensione naturale provocano, a causa dell’ottusità, del pregiudizio e della malvagità della parte più autorevole della società in cui si trova a vivere. E’ trasparente nel racconto l’intento autobiografico dell’autore, perché è evidente che la storia dello Junker Ernst è anche la storia dell’infanzia di Jakob Wassermann, una sua proiezione letteraria che l’autore, nell’introduzione, dedica al figlio ancora molto piccolo. E lo Junker Ernst, alias Jakob Wassermann, negli anni della sua formazione, vive in una totale solitudine, privo di affetti familiari, consapevole della propria diversità, incapace di comunicare perché non trova intorno a sé un essere umano che gli assomigli. Finchè scopre di possedere un dono – che è anche per certi versi dannazione – quello di saper creare immagini e forme e che questo dono affascina, perché risponde ai profondi bisogni nascosti in fondo all’animo degli uomini.

Nella sua autobiografia, Wassermann dice di sé: “Io credo che ogni creazione d’immagine e forma sia in sostanza il tentativo di una riproduzione, l’avvicinarsi a quelle cose viste, udite, provate, che se ne sono andate in una parte ultraterrena della coscienza e devono essere dissotterrate sotto forma di pezzetti, macerie e frammenti. Io per lo meno, per tutta la vita, non ho mai ritenuto il mio creare nient’altro che l’ininterrotto, doloroso impegno di un maniaco cercatore di tesori”. Il libro è dunque la storia di una formazione che procede per gradi: il primo passo è la scoperta da parte del protagonista di possedere un mondo interiore dotato di una ricchezza inesauribile, che si manifesta in mille forme affascinanti, il secondo passo è l’apertura di questo mondo alla realtà, che è fatta di ingiustizie, dolore, oppressione, ma anche di amore e di consolazione. Ecco allora che le storie che lo Junker Ernst racconta acquistano il peso della vita, della carne e del sangue, diventano, non solo interessanti, ma anche indispensabili per chi le ascolta. Perché un vero narratore deve raccontare storie che contengano la realtà, sembra voler dire Wassermann e, se si considera la realtà in cui tutta la vicenda del romanzo è ambientata, non si può evitare di leggerla come metafora dei tempi bui in cui lo stesso autore viveva. Il giovane Ernst esercita la sua attività di narratore nella prima metà del XVII secolo, nelle campagne intorno a Wurzburg (in Baviera), città governata dal vescovo Philipp Adolph che, aiutato dal gesuita Gropp, conduce la sua personale lotta contro il demonio, strappandogli le anime mediante la tortura e la condanna al rogo. La persecuzione della Chiesa getta quindi il popolo in un costante stato di sconforto e di terrore, perché tutti sanno di poter essere sospettati di stregoneria. Il giovane Ernst, con le sue storie, è il solo in grado di portare conforto e consolazione e, come un novello pifferaio magico, attira intorno a sé inizialmente i bambini e poi tutta la popolazione, incorrendo ovviamente nei sospetti dell’autorità vescovile, che finisce per considerare anche lui seguace del demonio. Basta spostare la vicenda di due secoli e mezzo, sostituire alle autorità ecclesiastiche la società tedesca e all’accusa di stregoneria il pregiudizio nei confronti degli ebrei e la storia dello Junker Ernst si colorerà di ben più chiari significati. Un’ultima osservazione, per gli appassionati di letteratura tedesca del Novecento. Negli anni giovanili, Jakob Wassermann trascorre un lungo periodo a Vienna, viene accolto nella comunità ebraica della città e si inserisce nel gruppo degli intellettuali della Jung Wien, tanto prolifici di nuove idee e di stili compositivi sperimentali. Conosce quindi Schnitzler e, soprattutto, Hugo von Hofmannsthal, di cui diventa intimo amico. Non stupisce quindi di trovare traccia nelle sue opere, e in modo particolare in questo romanzo, di quelle nuove prospettive e profondità che il pensiero di Freud offre in quegli anni alla fervida creatività dei giovani autori austriaci. Tra i mille indizi disseminati in queste pagine, colpisce questo, che attiene al sogno: “Come la crosta terrestre ed ogni frutto hanno le loro diverse stratificazioni, ognuna delle quali testimonia sempre una condizione passata e fa in modo che se ne attenda una futura, così, secondo il principio che la natura segue in tutte le sue creazioni, anche l’anima umana ha i propri sedimenti, numerosi e separati, ma che si richiamano l’un l’altro, in particolare per quanto concerne il suo segreto divenire e la vita negata alla conoscenza. In molti questa attività del sogno rimane sotto la superficie  e si dissolve al primo sopraggiungere del giorno, al primo  urto con il mondo; in altri ancora essa spinge le sue radici ancor più in profondità così che le forze del presente devono impegnarsi più duramente per tirarla fuori; ad ognuno è stata dunque impressa la propria legge”.

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viducoli
11 years ago

Credo che Wassermann sia veramente un autore da ri-scoprire. Questo “Tumulto” è veramente un piccolo capolavoro, cui purtroppo tarpa le ali, a mio avviso, una traduzione insufficiente.