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letteratura americana

Henry James, “Racconti di fantasmi”

HENRY JAMES – Racconti di fantasmi – Einaudi

henry-james-fantasmiI lettori di Henry James sanno bene che tutto ciò che egli scrive ha in fondo a che fare con i fantasmi, perché la sua tecnica letteraria evita accuratamente di fornire spiegazioni razionali e avviluppa lentamente in luci ed atmosfere colme di tutto ciò che si può tentare di percepire, tutto tranne la rassicurante chiarezza della logica. I suoi racconti sono prodigi dell’immaginazione che prendono forma grazie all’arte del narratore; i suoi racconti sono prodighi di trame che prendono forma e vita, ma una forma rarefatta e indistinta, riservata a chi, per un momento, è in grado di coglierla: un’apparizione insomma. Se questo è vero, allora i fantasmi che compaiono nei racconti compresi nella presente raccolta sono fantasmi al quadrato, le creature più appariscenti di James.

Ma da quale “altrove” vengono queste creature? Non certo dall’altrove della splendida poesia di Fernando Pessoa – che per i miei gusti di lettrice rappresenta il vertice della rappresentazione estetica di un mondo alternativo all’umano – dove “la vita è una sete soddisfatta”, “il tempo un momento d’allegria”, dove la luce illumina “le tenebre dell’immortalità”, ma nemmeno dalla cupa dimora di diavoli e demoni delle storie gotiche dell’orrore. I fantasmi di James vengono dall’altrove di ciò che poteva essere e non è stato, di ciò che una volta è stato e ora non è più, dal rimpianto per sentimenti non rivelati o disattesi, per azioni mai compiute, e dal tormento dell’incomprensione. Nascono dalle occasioni perdute e dalla consapevolezza tardiva, dai fatali errori di valutazione, dalle parole dette o da quelle taciute, dalle parole tradite o svilite o disprezzate perchè solo parole. I fantasmi di James vivono nel mondo intimo dei suoi personaggi che li conoscono bene e che per questo hanno la capacità di presagirne la comparsa, o sono testimoni della loro apparizione, che non è necessariamente fisica, ma si traduce spesso in una sorta di atmosfera strana e sinistra che irrompe nell’usuale. Mentre intorno la vita continua inconsapevole il suo corso, solo il protagonista ormai “sa”, e con lui il lettore, diventato suo complice e compagno nel viaggio verso l’altrove, o meglio, nell’attesa che l’altrove si manifesti. Un viaggio tutto mentale ed emozionale perché James coglie di ciò che è umano i dubbi irrisolti e le paure persistenti, li traduce in immagini, rendendo così visibili le emozioni, dando loro voce nell’unico modo che conosce e in cui eccelle, all’interno di una perfetta struttura narrativa.

“Abbiamo paura di qualcosa, forse, in noi stessi” afferma Virginia Woolf nel suo testo “I racconti di fantasmi di Henry James” che introduce la presente raccolta, concludendo: “Il raffinato, mondano, sentimentale vecchio signore, riesce ancora a farci aver paura del buio”. Sì, perché, una volta assodata la natura tutta umana e interiore dei fantasmi jamesiani, non possiamo certo affermare di aver trovato la chiave per scardinare e smontare il meccanismo dei suoi racconti, neutralizzandone gli effetti. Prima di tutto perché James costruisce trame e non ingranaggi (significativo a questo proposito il suo racconto “La figura nel tappeto”) dove “il bello e l’indegno” sono talmente intrecciati insieme che insieme penetrano nel profondo, e poi perché riconoscere che i suoi fantasmi hanno le loro origini dentro di noi li rende senza dubbio molto più spaventosi dei poveri spettri della tradizione letteraria. James estrae i fantasmi da quell’altrove che ha una sua vita nell’intima vita dei suoi personaggi, li porta alla luce in un momento perfetto, nell’occasione accuratamente preparata, graduando i particolari di un’atmosfera di raccapriccio e di orrore; una volta comparsi, li rende partecipi dell’azione drammatica e il lettore non è sicuro di essere un semplice spettatore.

Il raffinato vecchio signore sa bene come tenerci avvinti al suo particolare mondo soprannaturale, su quali emozioni fare leva, quali orrori suscitare. Nulla di ciò che è più terribile nell’umana esperienza viene dimenticato; nelle sue pagine possiamo scorrere un intero campionario di situazioni inquietanti: il potere della gelosia, la crudeltà del destino, il male che sopravvive oltre la vita, i dissidi familiari capaci di influire sull’ambiente che li ha visti deflagrare, il senso di colpa, le esperienze extrasensoriali, la doppia personalità, il potere dell’inconscio, il senso inestinguibile del passato, il ricordo opprimente dei morti, il rimpianto per le occasioni perdute, l’impossibilità di distinguere il bene dal male, l’inconsistenza della fama, la nostalgia per il mondo perfetto dell’infanzia, l’interazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti, le esigenti presenze spirituali, l’ossessione del successo e, infine, l’orrore di non riconoscere se stessi. James parla direttamente all’esperienza privata dell’orrore di ogni suo lettore, delinea i tratti del suo fantasma personale, fedele alla sua convinzione: “Rendi abbastanza intensa nel lettore la visione del male … e la sua propria esperienza, la sua propria immaginazione … gli forniranno più che abbondantemente tutti i particolari. Fa’ che lui pensi il male, fa’ che sia lui a pensarci da solo, e tu sarai sciolto dall’impegno di fiacche descrizioni particolareggiate”.

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