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letteratura austriaca

Ingeborg Bachmann, “Tre sentieri per il lago”

INGEBORG BACHMANN – Tre sentieri per il lago – Adelphi

“Ho scoperto di non appartenere più a nessun paese, non ho più nostalgia di nessun posto, una volta era diverso, una volta credevo di avere un cuore e di appartenere all’Austria. Ma tutto passa prima o poi, il cuore vien meno e una certa mentalità va perduta, solo che sento in me qualcosa che sanguina, e non so cos’è”.

Così afferma Franz Joseph Eugen Trotta, il grande amore doppiamente perduto, nei pensieri di Elisabeth, la protagonista del racconto che dà il titolo alla raccolta, colui che, “uomo esiliato e perduto”, le aveva fatto sentire che “l’estraneità era il suo destino”. Così pensa Elisabeth, così scrive Inge in questo racconto che, ricchissimo, disturbante ed estremamente raffinato, conclude quella parte della sua produzione che l’autrice volutamente destina alla pubblicazione, e suona come un addio, la chiusura di un cerchio, un ritorno all’origine per estinguerla definitivamente. La raccolta esce nel 1972, l’anno dopo la Bachmann morirà tragicamente a Roma.

E’ stata la sua poesia l’apprendistato che mi ha permesso prima di comprendere, poi di apprezzare e infine di ammirare anche la sua prosa, una poesia “acuta di conoscenza e amara di nostalgia”, fatta di versi duri, spesso arditi e bizzarri che si stemperano in una improvvisa melodia, di immagini che franano a precipizio l’una sull’altra, nella tensione a volte parossistica di trovare quelle “frasi vere” che sono, prima di tutto, un’esigenza concettule propria di una sensibilità filosofica. Come afferma Luigi Reitani nella sua Introduzione al volume “La lirica di Ingeborg Bachmann. Interpretazioni”, si tratta di una poesia che, da un lato, si esprime nelle “ripetute variazioni sui temi della terra desolata, del rumore del mondo e della cognizione del dolore, e dall’altro produce con insistenza visioni utopiche liberatorie e, soprattutto, una continua tensione della scrittura, chiamata a ricordare e a vedere”. E’ questa poetica rigorosa e immaginifica, questa esigenza concettuale densa di echi e rimandi, accompagnata però dalla levità, dalla frivolezza della tentazione dell’abbandono all’ineluttabile flusso vitale a costituire il motivo di fondo che guida il lettore attraverso le trame di questi racconti, lungo questi sentieri.

Mi soffermo sull’ultimo racconto, sulla storia che, a detta dell’autrice, “ha un’origine topografica”, perché conduce a Klagenfurt, quindi anche all’origine della Bachmann, attirata da quei tre sentieri che portano al lago, il sentiero numero 1 o sentiero delle alture, e i sentieri 7 e 8, che Elisabeth, tornata a casa per una visita all’anziano padre, vuole ripercorrere a piedi, come faceva da ragazzina, perché considera il bosco che attraversano “come l’unico angolo al mondo dove c’è tranquillità e silenzio”. Magistralmente la struttura portante del racconto è sostenuta dai ripetuti tentativi della protagonista di ricavare la soddisfazione e la pacificazione che si aspetta dalle sue passeggiate solitarie lungo i sentieri attraverso il bosco, per giungere al lago; magistralmente il flusso dei ricordi e delle riflessioni esistenziali è scandito da questi tentativi. E l’interruzione dei sentieri, che non conducono più al lago e che attraversano un paesaggio ampiamente mutato, frustrando e vanificando le aspirazioni della protagonista, arricchiscono il racconto di una valenza simbolica e concettuale. E’ da questi sentieri interrotti che la Bachmann guarda ad una esistenza dove “le cose vere non succedono mai o succedono troppo tardi”, sono questi sentieri che hanno perso la loro meta e la loro attrattiva a diventare il simbolo di una vita “sfuggita di mano, come a uno spettatore che va al cinema ogni giorno e si lascia narcotizzare da un mondo diverso dal proprio”.

“Seguendo il sentiero delle alture numero 1 arrivò di nuovo alla Zillhohe dove c’erano le panchine e lì si mise a sedere un attimo, guardò brevemente giù verso il lago, poi più oltre, verso le Karawanken e, ancora al di là, verso Krain, la Slavonia, la Croazia, la Bosnia; di nuovo cercava un mondo che non esisteva più, poiché di Trotta non le era rimasto nulla, solo il nome e poche frasi, i suoi pensieri e un accento particolare”. Il resoconto di una vita frenetica, a volte frivola, di successo ma priva di radici, all’insegna della estraneità a tutto, a luoghi, città, case, persone, una vita ricca di relazioni ma tutte instabili e aleatorie, ha delle soste come questa, in cui c’è tutta l’intensità e la potenza evocativa della prosa della Bachmann. Dal sentiero delle alture numero 1, che non conduce più al lago, si vede una patria che non esiste più, che abilmente l’autrice assimila all’amore perduto. Le basta un nome, Trotta, per evocare sia il paradiso lontano nel tempo dell’Austria felix, doppiamente perduto dopo l’Anschluss – e ora, dopo la guerra, “un paese in vendita, ancora peggio di un paese sbandato e sconfitto” – sia l’amore irrealizzabile e privo di futuro, perché Trotta, nel racconto, cinico e disilluso, si uccide, lasciando ad Elisabeth in eredità le sue frasi da oltretomba: “Non acquistare nulla, conserva il tuo nome, non prendere me, non prender nessuno, non vale la pena”. Se il ritorno a Klagenfurt è un ritorno alle origini, è quindi solo per constatare che queste origini non esistono più, si sono frantumate, estinte, e che la condizione più connaturale all’uomo è lo sradicamento.

Due anni dopo la morte di Ingeborg Bachmann, usciva il romanzo di Thomas Bernhard “Correzione”, in cui il rifiuto delle origini e lo sradicamento, portati alle estreme conseguenze, diventano prima segregazione e poi annientamento. Un romanzo cupo, serrato, costruito secondo una progressione geometrica, quella “geometria delle tenebre” propria della prosa filosofica bernhardiana che possiede il fascino del pensiero logico che gioca con le sue variazioni, senza indulgere a leggerezze, a soste o a rielaborazioni poetiche. Ebbene, anche “Correzione” ha il suo sentiero, “il sentiero della scuola”, e anche questo riporta alle origini, perché è quello che i tre personaggi principali del romanzo percorrevano da bambini; come i sentieri della Bachmann anche questo è caratterizzato dal silenzio, passa attraverso un bosco quasi del tutto privo di presenze umane, e anche questo ha una valenza simbolica, perché è per Bernhard il sentiero della vita. E’ “un sentiero di tutte le scoperte possibili”, l’origine delle sensazioni, delle percezioni, dei sentimenti, dei sensi di sentimenti, degli esperimenti di pensiero. E anche questo sentiero è interrotto, perché tutta la dolcezza del ricordo è annientata dall’evento drammatico a cui il sentiero è collegato. Sui sentieri di Inge la protagonista torna col pensiero al suicidio di Trotta, sul sentiero di Bernhard incombe il suicidio di Roithamer, il costruttore del cono.

La Bachmann non ha potuto leggere “Correzione”, Bernhard, così esigente e intransigente nei suoi giudizi, apprezzava ed ammirava la poetessa austriaca. Entrambi concepiscono l’arte come una sfida alla mancanza di senso, dimostrando quel coraggio di essere che Aldo Gargani sceglie come titolo del suo saggio sulla cultura mitteleuropea e della sua introduzione ai “Diari” di Ludwig Wittgenstein. “Correzione” di Bernhard trae ispirazione dalla suggestione della casa costruita da Wittgenstein per la sorella Margarethe a Vienna, impostata su criteri di rigorosa e geometrica funzionalità. Alla biografia del filosofo si rifanno molti elementi di Roithamer, protagonista del romanzo. Ingeborg Bachmann, che apprezzava molto l’opera di Wittgenstein, ha scritto nel 1953 un saggio su di lui nei “Quaderni di Francoforte”, ha affermato di essere stata molto influenzata dal suo pensiero e, nelle interviste raccolte nel volume “In cerca di frasi vere”, racconta di aver insistito presso la Casa editrice Suhrkamp affinchè ristampasse il “Tractatus” di Wittgenstein, dopo che le opere del filosofo erano state bruciate dai nazisti. Nello stesso volume afferma di aver fatto propria una sua frase: “I confini del mio linguaggio significano i confini del mio mondo”. Così tutto si tiene.

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giovanni baldaccini
10 years ago

Sempre grande, grazie per averla ricordata.

Francesco Luigi Bovi
Francesco Luigi Bovi
10 years ago

Carissima Anna,
un elogio innanzitutto a queste tue pagine che per numero e per contenuto stanno diventando una trama libresca fittissima di citazioni letterarie e di rimandi speculari ad altre scritture: una presentazione di libri sacri, basici, imprescindibili, formativi, che incita il lettore a darsi una svegliata e a rendersi conto di quello che c’è di buono da leggere sulla terra e per il quale vale ancora la pena di vivere.
Prova ne è, tra le tante, la tua appassionata lettura di “Tre sentieri per il lago”, il racconto indubbiamente più ‘rothiano’ degli Erzählungen della Bachmann e che tu naturalmente hai giudicato “estremamente raffinato” e di più ampia godibilità estetica, anzi, per la tua analisi testuale lo hai reso avulso dai restanti racconti, trattandosi in effetti di una scrittura a sé stante, ‘meta-fisica’, ossia da collocarsi oltre, come appartenente ad un genere ‘universale’.
D’altra parte anch’io, dopo aver letto questo racconto, non mi aspettavo davvero di ritrovarvi un ‘plot’ così crepuscolare e nostalgico, che riesce a rappresentare nella decadente anzianità del signor Matrei la fine di quella Cacania imperialregia e musiliana, ancora dopo il “Radetzkymarsch” del Roth e senza che la Bachmann debba con questi giustificarsi per aver fatto ricomparire il mitico Trotta, discendente “da una stirpe favolosa”.
Sei ammirevole tuttavia, per aver lasciato trasparire il tuo irreprimibile desiderio di ripercorre il passato di Inge attraverso i pensieri di Elisabeth che ritorna alla Klagenfurt della sua giovinezza, “un ritorno alle origini”, e sono sicuro che hai voluto anche tu seguire fideisticamente – come la protagonista d’altronde – i sentieri 1, 7 e 8 nella speranza che il loro riferimento mappale avrebbe consentito ad entrambe di pervenire alla georeferenziazione ‘reale’ del lago. Un paesaggio boschivo e lacustre sempre più irraggiungibile invece, un “erewhon” generato da una civiltà materiale in espansione che fagocita ogni riferimento topografico del nostro passato.
Ma proprio questa è la parte più ‘esistenziale’ del racconto che hai perfettamente messo in risalto: la “valenza simbolica e concettuale” dei sentieri interrotti che impediscono ad Elisabeth – reduce da “una vita frenetica, a volte frivola, di successo ma priva di radici” – di ritrovare il suo perduto amore.
Sarei curioso, a questo punto, di conoscere la tua opinione anche in merito alle restanti quattro storie di donne della raccolta. Ad esempio, il racconto intitolato “Problemi problemi”, che mi è sembrato esilarante ma nello stesso tempo di acuto approfondimento psicologico e culturale, pur nella mediocrità del personaggio Beatrix, la ragazza ‘coatta’ che pensa soltanto a dormire e ad andare dal parrucchiere.
Mi permetto infine di consigliarti la lettura della curiosa recensione di Carlo Fruttero e Franco Lucentini apparsa su La Stampadel 31 Agosto 1980, e che ho rinvenuto casualmente sul sito di germanistica.net: http://www.germanistica.net/2012/12/03/ingeborg-bachmann-tre-sentieri-per-il-lago-una-storia-di-goffi-cavalieri/
Un folgorante incipit: “Chi non abbia perso interesse per l’eterno problema di come le donne vedono gli uomini potrà leggere con profitto un libro finissimo, Tre sentieri per il lago, di Ingeborg Bachmann”, e la conclusione che in questi racconti “agli uomini non si rimprovera niente, non si chiede niente”, mi hanno riportato nostalgicamente agli anni del femminismo romano di Via del Governo Vecchio…