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letteratura italiana

Maurizio Salabelle, “La famiglia che perse tempo”

MAURIZIO SALABELLE – La famiglia che perse tempo – Quodlibet

copertina_salabelle_b“Abbiamo solo cambiato casa trasferendoci dirimpetto, – sentenziò durante una cena nella quale eravamo tutti annoiati – eppure, come se si fosse verificato un rivolgimento tellurico, vediamo tutto secondo un altro punto di vista. Ciò dovrebbe indurci a riflettere, farci rendere conto dell’assoluta relatività di ogni visione del mondo”.

Con questo romanzo vede la luce la creatura letteraria di Salabelle, un essere talmente disarmato e disarmante da suscitare fin da subito una disperata affezione nel lettore che, pagina dopo pagina, si ritrova in bilico tra lo sconcerto per la sua inconcludente inettitudine, la risata per la irresistibile comicità delle situazioni che lo vedono coinvolto e l’irrimediabile pena, con tanto di stretta al cuore, per quella sua esibita incapacità di districarsi tra le inezie del quotidiano, per quello stupito candore con cui osserva il mondo. E considerando quel suo essere uno zero, uno zero spaccato, una nullità, come non pensare agli antieroi di Robert Walser, all’aria delle “regioni inferiori” che essi respirano, alla dismissione, alla resa, al loro chiamarsi fuori dalla lotta per la sopravvivenza, per il riconoscimento sociale, l’apprezzamento, il prestigio, per la realizzazione di sé; come non avvertire l’impressione liberatoria di una atmosfera straniante e allucinata, ma appena di un passo fuori dalla mischia, di una dimensione insomma insieme vagamente familiare e del tutto inedita e stupefacente?

Phatrizio Grendy è infatti l’eroe allucinato di un mondo allucinante, di un universo in sé omogeneo, apparentemente riconoscibile, dotato di una sua coerenza interna, ma dove niente è come dovrebbe essere, dove persino gli oggetti inanimati, in un impeto anarchico, si ribellano alla logica che li vuole asserviti alla loro utilità.  Phatrizio Grendy fa parte di un nucleo familiare che perde tempo, proprio perché perde il controllo del tempo, una convenzione che è punto di riferimento, categoria logica, criterio ordinatore, condizione base per la condivisione di una vita sociale. Che cosa succede se una famiglia, un’intera casa è “soggetta ad un tempo malato”? “Ebbi la strana sensazione di venir precipitato nel vuoto, come se il fatto che qualcosa non quadrasse più nelle ore mi rendesse privo anche dello spazio”. In effetti i personaggi di Salabelle, pur muovendosi prevalentemente entro il proprio appartamento, sembrano perlopiù vagare nel vuoto di uno spazio che è ogni volta sempre un po’ diverso, o comunque in uno squallido disfacimento, ingovernabile, incontrollabile. Con il suo stile sottotono e sussurrato, ma di una accuratezza certosina, in grado di infarcire di mille particolari disposti quasi casualmente anche frasi apparentemente insignificanti nell’economia del racconto, rendendole di volta in volta comiche, tragiche, commoventi e anche enigmatiche, Salabelle mette in scena un esperimento azzardato, eliminando dall’universo dei suoi personaggi persino la certezza dei riferimenti spaziali, facendo vivere loro l’esperienza della assoluta relatività.

Gli effetti che ottiene sono dirompenti e, per quanto ne so, del tutto inediti nel panorama letterario italiano. “Con una lentezza che dava l’idea dello spalancarsi di un portone blindato sistemò l’immagine della metropoli e ne schiacciò le strade col palmo. Quel duplicato della città mi sembrò subito un labirinto in cui anche i tracciati delle strade erano scritti in lingua straniera. In un groviglio di linee nere e di scarabocchi pieni di frecce (di cui era difficile capire che direzione seguissero) si ripetevano isolati nei quali non avevo ancora mai messo piede. Tristemente mi resi conto che quel disegno non aveva nulla a che fare con la mia città, in cui avevo vissuto tanti anni e dove mi ero sempre aggirato con brutti abiti”. Una mappa “semi-spossata” riproduce vanamente una metropoli incerta e vacua che, nei suoi punti estremi, ospita isolati privi di nome in cui le vie si possono ripetere identiche, e zone nere dove le strade cambiano aspetto, diventando irriconoscibili e dove si corre il rischio di perdersi senza poter più ritrovare la via di casa. Il disorientamento è il prezzo da pagare per chi cerca di prescindere dai legami che impone l’aderenza ad un tempo e ad uno spazio definiti, misurabili e conoscibili.

I personaggi di Salabelle sono quindi, del tutto logicamente, disorientati e si muovono in una dimensione estranea e spiazzante. Il loro creatore può navigare a vista in un mare di infinite opportunità e con questo suo primo romanzo pone le basi di una costruzione letteraria che si andrà progressivamente perfezionando nei suoi romanzi successivi, ma che ha in queste pagine la sua impronta fondante. Va detto che qui il suo mondo, che va organizzandosi fuori dalle convenzioni in una disorganizzazione fedele a se stessa e consequenziale, ha lo stigma della malattia. La famiglia che perse tempo è colpita da una serie di malattie a cui cerca, a suo modo, di far fronte. Malattie bislacche, dai risvolti comici e dalle conseguenze tragiche, malattie, si potrebbe dire, della percezione, che influiscono drammaticamente sull’umore e sul comportamento di chi ne è affetto. “Per il fatto di essere molto malati cademmo in uno stato di preoccupazione che conferì a tutti un’espressione ebete. Recandoci ai gabinetti sempre occupati, che riuscivamo a ritrovare solo dopo aver fatto giri su giri, incontravamo visi anonimi e che non ci dicevano niente. Certe volte il solo fatto di trovarci faccia a faccia con persone che abitavano in casa, che sul momento non riconoscevamo ma che presumevamo essere nostri parenti, ci faceva provare una vergogna od una umiliazione terribili”. Perdita di periodi, malattia del tempo folle, sonnolenza, attacchi di inettitudine, nevrastenismo, male della dimenticanza, attacchi di colpa o, più genericamente “periodo brutto” dove pare che “il tempo sia esploso”. Sono malattie contagiose che si diffondono con tutte le caratteristiche di una epidemia, colpendo indifferentemente persone, suppellettili e luoghi, imprimendo su tutto e tutti una patina di ineluttabile insensatezza. Ma nella insensatezza, calibrata, controllata e abilmente dosata, risiede la comicità di un testo tragico che racconta, mantenendosi sempre su un tono di leggera svagatezza, il periodo tormentato di una famiglia in decadenza.

Nell’universo letterario di Salabelle trova posto – un posto privilegiato – la scrittura, la scrittura della scrittura, una metascrittura quindi che, mentre racconta, racconta anche se stessa, anch’essa partecipe della spossatezza generale, anch’essa velleitaria e inconcludente. Segni tracciati su supporti improbabili, fogli nascosti sul fondo di vecchi armadi in disfacimento, cronache che si risolvono in meri tentativi considerati da tutti con ostilità – “un inutile spreco di inchiostro” – risme di fogli, opuscoli, blocchi pieni di cancellature, quaderni redatti minuziosamente ridotti poi ad ammassi di cartaccia, forse perché se il mondo è velleitario, lo è anche la parola quando prova a descriverlo. Velleitaria e allucinata, ma necessaria, perché quella di Salabelle indica la strada verso il disincanto, senza presunzione, volando rasoterra, con sottile e affettuosa ironia, mentre compone il quadro di una piccola fiaba crudele.

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