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letteratura italiana

Maurizio Salabelle, “Il maestro Atomi”

MAURIZIO SALABELLE – Il maestro Atomi – COMIX

atomi“Ai piedi aveva le sue solite pantofole dalla stoffa a strisce nere e marroni, ma tutte inzuppate d’acqua fredda e con le suole di plastica senza più adesivo. Sulla punta di una delle ciabatte si era formata della schiuma che sibilava producendo delle grosse bolle. Nella mano destra, che teneva sospesa elegantemente, stringeva una copia del giornale che comprava ogni giorno sotto casa nostra”.

Bastano poche righe per ritrovarsi nel mondo bislacco di Salabelle, poche righe scelte assolutamente a caso da una delle sue pagine. E’ un mondo rifinito e in sé concluso, comprensibile a chi accetta di rivestirsi dei suoi stessi colori – comprensibile ed addirittura accattivante – ma i colori sono quelli dello sbigottimento costante, candido, ingenuo e accomodante, della pacifica e rassegnata accettazione delle infinite occasioni di disgusto che si celano nella quotidianità e della disponibilità assoluta all’azione, convinta ed energica, anche se l’azione ubbidisce ad una necessità incomprensibile, se prevede un dispendio di tempo e di energie eccessivo, soprattutto se rapportato alla completa insensatezza del risultato che si propone di ottenere. Si può fare l’abitudine al senso di straniamento fino al punto di entrare nella logica della illogicità e della più gratuita stramberia? E si può convivere con il disgusto fino al punto di avvertire, ben nascosto sotto i rivoltanti aspetti del reale che lo alimentano, una infinita tenerezza per la povera umanità afflitta dal bisogno, da ogni genere di quotidiano, elementare e persino banale bisogno? Deve essere possibile perché è ciò che avviene se ci si inoltra nella produzione di questo splendido e “ovviamente” quasi dimenticato scrittore italiano. All’interno della quale, in un modo tutto speciale, “Il maestro Atomi” costituisce una sorta di romanzo di formazione, o meglio una raccolta di racconti di formazione che rendono conto di alcuni episodi rivelatori dello stravagante apprendistato a cui l’alunno Attriti Luigi, quasi suo malgrado, è costretto a sottostare insieme ai suoi compagni, frequentando le lezioni di una scuola a dir poco bizzarra.

Salabelle è affetto da una straripante felicità di invenzione e dalla capacità di dimostrare, attraverso la parodia e gli effetti comici sparsi a piene mani nelle sue pagine, una vera affezione per i suoi stralunati personaggi. Felicità ed affezione che si comunicano con estrema naturalezza al lettore, man mano che anche lui svolge il suo apprendistato e impara ad osservare il mondo attraverso una lente deformante che ne rivela tutta l’assurdità e l’incomprensibilità. Nume tutelare, maestro e ispiratore è, ancora una volta, Robert Walser, ed è lo stesso autore ad affermarlo, ponendo in apertura del suo libro, a mo’ di epigrafe, la citazione di un passo dello scrittore svizzero: “Il professore sta seduto alla sua cattedra come un eremita, in mezzo alle rocce. Le lavagne sono imperscrutabili laghi neri”. La scuola del maestro Atomi nasce dunque dall’azione creatrice della solitudine e dello sbigottimento di fronte alla assoluta impossibilità di dare un senso alle cose della vita. La scuola del maestro Atomi nasce, forse, dal lavorio creativo innescato dalla frequentazione dell’Istituto Benjamenta del walseriano “Jakob von Gunten”. Non so se è davvero così, ma mi piace pensarlo, perché partecipa della stessa intima levità, della stessa stravagante modestia, dello stesso disinteresse per ogni senso nascosto e del suo gioioso soffermarsi nella strana sicurezza che nasce dall’insignificante.

Detto questo, l’istituto che il povero Luigi Attriti si ritrova a frequentare è un intero castello di pura e riconoscibile impronta salabelliana, dove parodia, ironia e comicità si mescolano allo sguardo surreale di chi, immerso nella realtà, nei suoi fondali e tra i suoi attori, non se ne chiede le ragioni, non ne drammatizza il destino, ma si sofferma felicemente sui particolari, anche su quelli talmente quotidiani e abituali che non sembrerebbero degni di attenzione, e li stravolge, accendendo su di loro un riflettore, rendendoli per un attimo protagonisti e donando loro una forma, grottesca forse, ma indimenticabile. Salabelle riserva l’intento parodistico del suo libro alla istituzione scolastica, che nelle sue pagine viene sbeffeggiata e ridicolizzata come un’entità astratta e astrusa che detta le sue regole illogiche e assurde senza che nessuno possa comprenderne motivazioni o intenti, che si contraddice dall’oggi al domani, vietando ciò che precedentemente aveva considerato obbligatorio. Solo qui, a mio parere, la bonarietà divertita e comprensiva dell’autore si colora di una leggera sfumatura di risentimento, una specie di pungente vendetta, dosata con stile e diretta a mettere alla berlina quel carrozzone di riforme, decreti e circolari che da sempre infesta la scuola italiana. Ben altro trattamento egli riserva alla varia umanità che popola l’istituto scolastico teatro delle vicende narrate.

A partire dal maestro Gennaro Atomi, l’impareggiabile figura claunesca, imperscrutabile, a suo modo intensa e sofferente, l’uomo dei silenzi, dei movimenti rituali, dei discorsi programmatici, dei proclami, ma anche degli sfoghi intimi, ideatore di esperimenti didattici azzardati, strampalati, innovativi e del tutto privi di senso, a cui la scolaresca sbigottita di volta in volta si presta perché questi e solo questi sembrano essere i compiti da svolgere. Unità didattiche che non prevedono l’uso di libri e quaderni, ma di oggetti e strumenti tra i più disparati recuperati al di fuori delle aule scolastiche, attività forse programmate al fine di impartire vaghe e non meglio precisate lezioni di vita, come quella, dalla irresistibile comicità, che ha come oggetto di studio le ragazze: “Il sesso femminile è infatti ancora sconosciuto in larghissima parte: nonostante i molti studi che gli vengono dedicati da centinaia d’anni, non si è ancora capito in che cosa consista né se sarà mai possibile la sua comprensione. Nemmeno le donne stesse ne hanno un’idea sicura. Ciò che si sa di loro (sia dal punto di vista fisico che spirituale) è costituito infatti solo da teorie: non c’è nessuna certezza scientifica né sono state prodotte prove su quanto si afferma”.

E il povero alunno Attriti Luigi si barcamena tra queste attività impossibili, si impegna, diligente e volonteroso, si angoscia prevedendo valutazioni negative o addirittura l’espulsione. E’ seguendo i suoi spostamenti quotidiani che Salabelle ci porta fuori dall’istituto, nelle strade di quella stessa metropoli che i suoi lettori ben conoscono, sempre in qualche modo periferica, aleatoria, indistinta, sporca, vittima di incuria e disfacimento, perennemente semideserta e desolata – ma così è tutto il mondo, così è anche la città giapponese meta della strampalata gita scolastica raccontata in un episodio del libro – tra le persone della sua famiglia, nella sua casa, nella sua camera. E sembra di ritrovare la famiglia che perse tempo, perché anche qui tutti sono occupati in attività inconcludenti – mitica è la figura della madre che affronta imprese sovrumane, come quella di lavare con secchi d’acqua e detersivo in polvere un enorme divano ricoperto di velluto – tutti usano il tempo in modo imprevedibile e anticonvenzionale e, soprattutto, si nutrono in modo disgustoso. Il libro è colmo di particolari nauseanti riguardanti il cibo: foglie di lattuga lavate con il detersivo, pesche noci ricoperte di bolle bianche, trippa mescolata a spinaci cucinati al burro, salsiccia rancida, panini ai funghi crudi, buste di polenta fritta, formaggio in polvere, ecc.; quasi che nell’atto della nutrizione perennemente permeata di disgusto, nella triste accettazione della impossibilità di trovare soddisfazione nel cibo, più che lo spunto per un facile effetto comico si nasconda la sconsolata intuizione della irriducibile tristezza dell’esistenza.

Nutrirsi e vestirsi sono, all’interno di questo universo letterario, per le creature che lo abitano, due atti colmi di incertezza e delusione, ma accettati come un male inevitabile, a tal punto da non suscitare né ribellione né tentativi di correre in qualche modo ai ripari. Tutti sudano in continuazione, vestono indumenti sporchi e vecchi o comunque quasi sempre inadatti al luogo e alla stagione, oppure utilizzano accessori recuperati sul fondo di vecchi armadi che li fanno apparire ridicoli e fuori posto. C’è una tale insistenza nel ricorrere di questi dettagli, una voluta e cercata proliferazione di tutto ciò che può apparire disagevole e disturbante, che può creare un senso di disordine e di trascuratezza, da diluire l’effetto comico, o meglio da farlo retrocedere in secondo piano. Perché il lettore sente nascere piano piano, insieme al divertimento un po’ stupito, una grande tenerezza verso questa umanità grottesca che Salabelle si ostina a raccontare, stranita e volonterosa, ma nello stesso tempo tremendamente imbelle nel districarsi tra i fatti più banali del vivere quotidiano, rassegnata alla inadeguatezza, ma fresca, viva e, a modo suo, audace. E inizia ad attendere il momento in cui la incontrerà di nuovo, in un altro dei bellissimi libri del suo creatore.

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