Categories
letteratura italiana

Guido Morselli, “Dissipatio H.G.”

GUIDO MORSELLI – Dissipatio H.G. – Adelphi

Dissipatio H. G.“Sono andato a prenderla, la mia ragazza dall’occhio nero, mi sono ridisteso sul letto con lei. Ho premuto la bocca sulla sua, a lungo. L’ho sollecitata col dito, una prima volta. Non abbastanza a fondo. E una seconda volta, sempre con la bocca sulla sua. Non la terza, perché d’un tratto l’ombra mi ha avvolto. E la quiete”.

E’ con questa immagine così affascinante e variamente allusiva, oltre che squisitamente letteraria, che gioca con una pluralità di significati, mescolando e confondendo vita e morte, amplesso ed autodistruzione, che Morselli cattura, per sempre, l’attenzione e in un certo senso l’affezione del lettore, imprigionato tra le pagine di un libro che brilla, nella assurdità attraente dell’invenzione apocalittica che lo sostiene, di una lucidità intellettuale cristallina, consequenziale e inconfutabile. Si potrebbe anche aggiungere giocosa, se la consapevolezza dell’atto di autoannientamento con cui l’autore porrà termine alla sua vita non costringesse a scorgere tutta la gravità di cui è depositaria la “ragazza dall’occhio nero” nel momento in cui, fuoriuscita dal giardino della letteratura, mostra il suo volto reale.

Ma questa è, appunto e per fortuna, letteratura, e qui la forza creativa e vitale del suo autore è ben viva e prolifica, capace di disperazione e letizia, di invenzione e, oserei dire, di godimento intellettuale. Un protagonista che ha paura dell’uomo come produttore di danno e fastidio inesausti e che per questo cerca la solitudine “genuina, durevole e a ampio raggio”, un aspirante suicida che corteggia la propria morte, la premedita, organizza e drammatizza come un colpo di scena ad effetto e la dilaziona a suo piacimento, custodendone e perfezionandone l’idea quasi fosse un’ancora estrema di salvezza, che si trova inaspettatamente davvero solo a causa di una inspiegabile dissipatio humani generis che ha di colpo dissolto la presenza umana nel mondo. E’ il geniale paradosso che offre all’autore l’opportunità di vestire di immagini e di situazioni la solitudine, vera, dell’interiorità con i suoi sentimenti e le sue paure, ma anche dell’intelletto con la sua logica e la cultura che lo sostiene. La solitudine perfetta di un aspirante suicida che rimane vivo mentre il resto dell’umanità si è dissolta.

Un esperimento, un ragionamento, una dimostrazione per assurdo contaminata dall’ansia, dal panico e dal persistere della malattia. Perché il protagonista di “Dissipatio H.G. è un uomo malato e sa di esserlo, nel corpo e nello spirito, malato prima e dopo l’evento apocalittico – un’apocalissi discreta e silenziosa che lascia intatto il mondo e rinvigorisce la natura sottraendola al dominio dell’uomo – di malattie che appaiono inscindibili dalla sua più intima essenza: la malattia fisica, una minaccia da tenere a bada, quella mentale, una “federazione di neurosi”, camuffata da “nevrastenia da intellettuale”, entrambe osservate dall’esterno con amara ironia, come lo specchio fedele della propria verità. Dopo l’evento la malattia fisica è relegata all’interno di labili lacerti di memoria – il rischio di soccombere a causa di una malattia mortale ha senso quando tutta l’umanità si è dissolta? – e quella mentale riscoperta, ripensata, accolta con indulgenza e usata, ai fini del racconto, per motivare la deriva irrazionale che lentamente colora la vicenda. “Nessun segno in me di squilibri, di alcun genere: la mia ragione se ne sta verticale, rigorosa e irrefutata. Mi dimostra oltretutto che per me, oggi, la pazzia è da escludere, già in linea di principio. Macina, tranquilla, eventi e esperienze…”; mentre nel mondo paradossale e terrorizzante in cui l’uomo è immerso la pazzia avrebbe degli effetti benefici, sarebbe “una difesa fisiologica, come gli anticorpi”.

Non so se l’intento dell’autore fosse quello di rivalutare il tanto vituperato genere umano elaborando la visione di un mondo che ne è rimasto del tutto privo, ma di sicuro traccia in modo chiaro e persuasivo il quadro di una individualità che non è in grado di sostenere, da sola, il proprio peso, che ha bisogno non tanto della vicinanza emozionale con i propri simili, ma della distrazione da se stessa che loro rappresentano: “E’ che sono solo. Il mondo sono io, e io sono stanco di questo mondo, di questo io”. Per quanto attiene alla trama, c’è in questo libro tutto quello che il lettore si aspetta dal genere apocalittico che tanta letteratura e tanta filmografia hanno proposto, a volte, addirittura, qualcosa che soddisfa le aspettative. Morselli gioca bene con il pathos, conduce il lettore in luoghi di volta in volta avventurosi, struggenti, colmi d’orrore, lo gratifica con situazioni angoscianti, con l’imprevisto, fa intravedere spiegazioni o soluzioni che regolarmente si vanificano, sostiene con perizia il perdurante senso di mistero che pervade il suo libro. Ma fa di più, molto di più: costringe a guardare il mondo con gli occhi del suo protagonista – e quindi in definitiva con i suoi occhi – un essere abituato a convivere con quella ragione discorsiva – quella che Manganelli chiama “gelo mentale matematico” – che non arretra nemmeno di fronte alla assoluta certezza logica della necessità di togliersi la vita, colpito all’improvviso da un trauma paralizzante che la destabilizza, lasciandola in balia dell’ignoto: “L’ignoto mi è addosso, e io sono solo, senza scampo. Non ho aiuto, non ho consiglio. A chi chiederò un esorcismo? Scienza, filosofia, forse rimangono. In me, e sia pure in grado millesimale, e in barlume. Ma non hanno previsto niente di quello che succede, e non ne sanno niente. Sono io a sapere che, a ogni modo, ciò che succede non è pensabile, va oltre”. L’orrore del non pensabile, forse questo è ciò che non si può sopportare e questo orrore accompagna il lettore, lasciandogli a tratti respirare l’aria della nostalgia, della dolcezza della natura, della bellezza del mondo, del conforto dei rari momenti di vera vicinanza con un essere forse amato, ma per poco. E di fronte a questo orrore, anche l’infelicità abituale sembra un sollievo.

Subscribe
Notify of
guest
15 Comments
Oldest
Newest Most Voted
Inline Feedbacks
View all comments
Paola
Paola
9 years ago

Mi dispiace perché mi aspettavo molto da questo libro, eppure l’ho odiato come pochi.

Alessandra
9 years ago

Non conoscevo questo autore, ma la tua recensione è così bella che invoglia a leggerlo. Curiosando tra le note biografiche ho scoperto che fu incompreso e snobbato dagli editori, portato alla ribalta solo dopo la morte. Non sarebbe la prima volta che il talento non viene riconosciuto per via di uno stile inusuale o per una scelta di tematiche che non sono conformi all’epoca vissuta.

klement
klement
5 years ago

Per immaginare la fine dell’umanità non c’è bisogno di Greta

giovanni
giovanni
4 years ago

Cara Anna, o devo chiamarti Sibilla Cumana? E che dire di Morselli nelle vesti di divinità ispiratrice di tali vaticini?…niente male, davvero niente male_
E del Diario che ci dici ? Ci pensavo, sai, dopo il tuo messaggio. Amo questo scrittore, conosco i suoi romanzi, non il Diario. Lacuna che non mi spiego, visto che, come anche tu dici, il mondo culturale intellettuale ed emozionale di Morselli e la sua scrittura formano un’amalgama da cui è impossibile (o quasi) non lasciarsi invischiare. Motivo della mia disattenzione però potrebbe essere la forma stessa del diario, tipo di testo dal quale, tranne che per poche eccezioni, resto di solito alla larga, ma dato che oramai apprezzo i tuoi gusti, anche perché molto vicini ai miei, resto in attesa di un tuo commento.

giovanni
giovanni
4 years ago

Sono convinto che una semplice recensione (benché di quelle belle e appassionate come le tue se ne senta sempre il bisogno) non sia sufficiente, dovresti, per il caso Morselli, imbastire una vera e propria inchiesta.
Penso che tu sia a conoscenza delle vicende -anzi, le non vicende- editoriali di questo scrittore. Ti prego però di non scaldare i muscoli complottisti che sono in te (ammesso che tu ne abbia), altrimenti i miei anticorpi, e ti assicuro che per questa patologia ne sono provvisto e di quelli belli aggressivi pure, comincerebbero ad agitarmisi dentro al solo accenno di pratiche dietrologiche.
Si potrebbe però parlare, come minimo, per definire il caso Morselli, di “sfortuna di Morselli”, non per sarcasmo, ti assicuro, e né mi interessa screditare alcuni per favorirne altri. L’epoca in cui Morselli scrive, corrisponde ad uno dei periodi più intensi e ricchi della letteratura italiana, e di sicuro, prese in blocco, le opere uscite tra la seconda metà degli anni ’50 e la prima dei ’70 sono tra le migliori del novecento italiano (è di questo periodo uno dei miei libri preferiti in assoluto)
La letteratura a quei tempi era una cosa seria, e trovo ovvio, quindi, che si facessero delle scelte usando parametri rigidi. Il dubbio -non complottìstico, mi raccomando- che qualcosina di sbagliato, un’incrinatura nel muro che si alzò in faccia al buon Morselli, fosse una cosa reale, arriva nel momento che segue le pubblicazioni, da parte di Adelphi, di tutta l’opera Morselliana; da quel momento infatti, attraverso tutta la stampa italiana, si susseguono lodi entusiastiche e apprezzamenti vari nei confronti di quei finalmente ex manoscritti. Anche le iperboli, come nel miglior stile italiano, vengono scatenate a iosa, si arriva persino a dire “…non si è pubblicato perché la merce buona avrebbe scalzato quella cattiva”.
Non ti è forse sufficiente questo per cominciare a metterti a lavoro?
E che dire dell’argomento del primo libro “Roma senza Papa”? Guarda, il contenuto mi fa così paura ancora adesso, che preferisco non scriverne per non rischiare, è tuo il blog dopotutto..
Tra le tesi a sfavore(?) (pre-pubblicazione) si potrebbe citare una lettera di Calvino da ‘I libri degli altri’ (riprendo in mano il libro, che è sempre un piacere)…
oh, ma quanto sto scrivendo. Non ti manderò mica il blog in lockdown?
Per non dilungarmi, ti citerò il paragrafo finale, premetto solo che nella lunga lettera, Calvino tesse soprattutto le lodi del manoscritto (a proposito, si tratta de “Il comunista – forse potresti leggere proprio questo, divertendoti a confrontare poi le tue impressioni con quelle di Calvino..detto sempre con rispetto eh, Calvino è sempre Calvino), entra nel profondo del testo ne valuta tutti i dettagli, poi conclude così :”Come vede il libro ho cercato di leggerlo in tutte le sue dimensioni, e mi sono accanito a smontarlo e rimontarlo..ci ho preso gusto e mi ci sono arrabbiato non rimpiango il tempo (un viaggio a Milano andata e ritorno) che ho impiegato a leggerlo ..posso dire che mi ha mosso pensieri e ci ho imparato..”
Ora, secondo te, il viaggio per Milano da dove iniziava, tenendo conto che il libro è lungo più di 350 pagine ?
Comunque sia, non ritieni giusta infine la mia tesi secondo cui, non essere preso in considerazione, anche quando riesci a dare godimento intellettuale ad uno come Calvino, debba, per forza di cose, essere sintomo di enorme magnifica sfortuna ?
Ma non ti nemmeno parlato di quando “il comunista” fu accettato da Rizzoli, ci fu un contratto e cominciarono anche a lavorarci su, poi i vertici della direzione cambiarono e del libro non se ne fece più niente. Beh, ma questo sarebbe tirare troppo l’acqua al mio mulino, fermiamoci qua, dai.

giovanni
giovanni
4 years ago

Non Il preferito ma uno dei tanti preferiti. In realtà, non sono mai riuscito a stilare vere classifiche di questo tipo, e nemmeno dare un preciso ordine di preferenza a scrittori, misicisti e così via, che non conoscesse nuovi capovolgimenti dopo appena pochi mesi. Si tratta di gerarchie abbastanza liquide, direi. Non è raro però imbattersi in singole opere che sembra siano state lì a darti la caccia per anni e poi, all’improvviso, dopo averti abbordato, ti arrembano e in poche ore ti conquistano. Tra questi pirati di carta c’è anche la mia copia (anzi, le mie due copie) di “Ferito a morte” di Raffaele La Capria.
Però adesso tocca a te, Anna.

giovanni
giovanni
4 years ago

Correzione è anche il mio preferito di Bernhard, quindi attenta, sarò esigente…scherzo, capisco la tua ansia. Però mi riferivo a classifiche di soli italiani, le comparazioni tra scrittori di lingue diverse, ormai li evito, ritengo siano ancora più difficili e precarie…e adesso che ci penso, qualche anno fa, quando ero più giovane, anche per me, in assoluto, e di gran lunga, il mio preferito era Bernhard, che coincidenza..

giovanni
giovanni
4 years ago
Reply to  dietroleparole

Ti ringrazio per la confidenza. Felice dì conoscerti un po’ meglio. Un saluto