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Valerio Aiolli, “Il carteggio Bellosguardo. Henry James e Constance F. Woolson: frammenti di una storia”

VALERIO AIOLLI – Il carteggio Bellosguardo. Henry James e Constance F. Woolson: frammenti di una storia – Italo Svevo – Piccola Biblioteca di Letteratura Inutile

Camminare

“Nell’aprile 1880 Constance prese alloggio a Firenze, in qualcosa di molto simile a una camera con vista. Venne a sapere che anche Henry era in città. Lei lo considerava il più grande scrittore del suo tempo. Lo ammirava senza riserve. Desiderava ardentemente conoscerlo, e gli aveva già inviato diverse lettere in cui gli chiedeva un incontro. Lui non aveva mai detto di no. Gliene inviò un’altra”.

Ho scelto di leggere questo piccolo libro per devozione nei confronti di Henry James e per il titolo accattivante della collana di cui fa parte. In un mondo editoriale di annunci roboanti e di quarte di copertina che apparentano nuovi sconosciuti autori a giganti indiscussi della letteratura, ponendo salde basi per smentite e delusioni, l’inutilità, affermata con un pizzico di ironia, è senza dubbio una virtù. Come lo sono l’onestà intellettuale e la misura, quando si tratta di rendere conto, se non di una fascinazione, senza dubbio di un acceso interesse –  e di lasciarlo decantare ridando voce ad avvenimenti, occasioni e atmosfere –  senza snaturare il suo oggetto ai propri fini. Ho trovato un piccolo libro delicato e in qualche modo gentile, raffinato nella grafica e nella impaginazione; piccolo, denso ed equilibrato.

Merito dell’autore è infatti aver saputo far convivere con naturalezza frammenti biografici, letterari e, diciamo così, paesaggistici, componendo un quadro che, nell’insieme, colpisce e sollecita, e non solo chi ama la scrittura di Henry James. “Questa è la storia di un amore sghembo, frammentario e sospeso, difficilmente espresso e malamente corrisposto, dietro il quale si nasconde la più grande letteratura dell’ottocento”: la quarta di copertina allude a tutto ciò che attira nella scrittura lieve ma comunque sapiente dell’autore, la frammentarietà, la sospensione, la capacità di evitare la trama artefatta che concatena e risolve i fatti, la rinuncia a compiacere il lettore, in definitiva la rinuncia a sottomettere la letteratura ad una pur avvincente biografia. Lo stesso oggetto del libro – il carteggio Bellosguardo – è sicuramente esistito ma non esiste più, ne rimangono tracce in poche lettere e nelle biografie, ma esiste senza tema di smentita ciò da cui ha avuto origine e ciò che esso ha ispirato e forse addirittura generato nell’ambito ben più significativo della letteratura.

Si intrecciano nelle pagine di questo piccolo libro – rendendolo di volta in volta curioso, arguto e persino per molti versi inaspettatamente intenso – tre piani narrativi che vanno ad intersecarsi e a motivarsi l’uno con l’altro: il racconto della devozione che dal 1880 al 1894 spinse Constance Fenimore Woolson (pronipote di James Fenimore Cooper, l’autore de “L’ultimo dei Mohicani” ed essa stessa scrittrice) ad inseguire nei suoi viaggi italiani un riluttante Henry James e ad avvicinarsi allo scrittore, intrattenendo con lui una intensa corrispondenza (il carteggio del titolo), la cornice autobiografica che, per ambientazione e analogia di sentimenti, offre all’autore del libro l’occasione per avvicinarsi con maggiore compartecipazione alla malinconica realtà di un amore non corrisposto, e infine, le vicende legate alla genesi di uno dei più suggestivi romanzi di James, “Il carteggio Aspern”, a cui, con tutta evidenza, il titolo del presente libro fa riferimento. E su tutto, ad uniformare e amplificare, l’atmosfera di bellezza soffusa e di struggente armonia, derivante dal paesaggio fiorentino visto dalla collina di Bellosguardo.

Nel volume che raccoglie le prefazioni scritte da James alle sue opere (Henry James, “Le prefazioni”, Cooper), è lo stesso autore a ribadire la sua fascinazione italiana: “Non solo ricordo con facilità, ma godo nel ricordarlo, il primo impulso dato all’idea de Il carteggio Aspern. […] Il libro è investito dell’aria della vecchia Italia, una mistura che godo ad inalare al minimo invito – e ciò malgrado il freddo e costante rinnovarsi del lato debole di quella felicità, il senso, nell’intero elemento, di cose troppo numerose, troppo profonde, troppo oscure, troppo strane o anche semplicemente troppo belle per qualsiasi agio di rapporto intellettuale”. A ben vedere è proprio da questa bellezza della nostra vecchia Italia – così esorbitante per tutti, forse in particolar modo per gli stranieri che non ne hanno consuetudine, e ancor più per le anime toccate dall’arte, in questo caso degli americani colti di fine ottocento che consideravano i soggiorni fiorentini e veneziani quasi obbligatori per dare atmosfere, respiro e consistenza alle loro opere – che tutto parte, le coincidenze, l’identificazione, il desiderio di percorrere in profondità un tratto della biografia di un grande della letteratura per scrutare nella genesi di una delle sue opere forse più enigmatiche e affascinanti, estrapolando informazioni certe dagli studi più rigorosi, ma lasciando anche libertà alle suggestioni e alle ipotesi, con rispetto e grande sensibilità.

Firenze dunque, vista dall’alto della collina di Bellosguardo che l’autore per ragioni biografiche conosce bene, e l’atmosfera fiorentina che si respira da Villa Castellani e Villa Brichieri-Colombi (dimore che hanno assistito all’evolversi di quell’amore “sghembo, frammentario e sospeso”), sono responsabili della genesi del presente libretto, complice una passeggiata letteraria in quei luoghi guidata da Colm Tóibín, autore di “The Master”, una biografia romanzata dedicata a Henry James. Il lettore può accedere a Villa Castellani facendosi guidare dalle parole di James, perchè lo scrittore la utilizza come modello per Villa Pandolfini in “Roderick Hudson” – “Presentava al mondo esterno una facciata bassa di colore giallo scuro. Il giardino era un luogo di grande fascino. Sulla parte a sud fiorivano aranci e piante di fico offrivano ombroso riparo e più in là, sotto un basso muro, il panorama di Firenze a tenerti compagnia” – oppure da quelle dello stesso Aiolli che la visita e la ritrae nel suo aspetto odierno: “La villa è immensa, e oggi è divisa in vari appartamenti, sulla pulsantiera ho contato dodici campanelli. Ha stanze enormi stipate di vecchi divani e di dipinti appesi, o quasi completamente vuote, dipende da chi le abita. Io ho visitato due distinti appartamenti, e due giardini. Uno all’italiana, con siepi, panchine di pietra e vialetti di ghiaia; l’altro più all’inglese, con un prato che corre fino al muretto in fondo. In entrambi i giardini – che sono grandi, ma non troppo – ci sono alberi altissimi. Alcuni sono cipressi”. Qui Constance andò ad abitare nell’estate 1886, affittando in seguito le quattordici stanze di Villa Brichieri-Colombi e invitando James, che sorprendentemente accettò, a raggiungerla. Senza confini è […] la bellezza di Firenze – scrive Aiolli – soprattutto se osservata da alcuni particolari punti di vista. Come il giardino e le terrazze di Villa Brichieri-Colombi. Da lì la città appare in una prospettiva così inusuale da lasciare a bocca aperta anche chi è abituato da sempre, come me, ai suoi irripetibili panorami urbani. Ci sono la solita cupola del Brunelleschi, il solito campanile di Giotto, il solito Palazzo Vecchio, ma messi in una posizione tale che sembrano diversi, nuovi. Ancora più belli”.

Tutta questa bellezza fa da cornice al delicatissimo accenno dell’autore al suo non corrisposto amore per la donna che nella passeggiata lo accompagna e al resoconto delle vicende legate all’altrettanto non corrisposto sentimento di Constance per James. Ma Aiolli è uno scrittore lettore – cosa apprezzabilissima – e come tale trova nella letteratura il modo di amplificare, alludere, esaltare anche il non detto, come lui stesso afferma: “Il carteggio Bellosguardo è un piccolo libro costruito utilizzando libri molto più grandi di lui, in tutti i sensi. Alcuni sono già citati nel testo, ad altri si è solo accennato, altri ancora sono rimasti nell’ombra” (tutti sono però accuratamente elencati in allegato sotto il titolo “Libro di libri”). Così mentre si dipanano le tappe di una biografia che conduce nel cuore dell’ispirazione di un grande scrittore e quelle di una vicenda in qualche modo parallela ma ben più più intima, sono i brani tratti da “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes a scandire le fasi di un infelice innamoramento: incontro, assenza, festa, loquela, esilio, risveglio.

Nonostante tutto ciò, nonostante le suggestioni e i rimandi che tutto ciò può suscitare nel lettore, questo piccolo libro contiene in sovrappiù informazioni ed ipotesi che risultano estremamente interessanti sia per chi abbia già letto “Il carteggio Aspern” e ne sia rimasto per comprensibili ragioni stregato, sia per chi ancora non lo conosca. Aiolli riporta una pagina di un taccuino di Henry James in cui l’autore racconta la fonte, tutta fiorentina, da cui è scaturita la trama del romanzo. Da questo piccolo libretto apprendiamo però il seguito: che il romanzo, ambientato a Venezia, è stato però scritto a Villa Brichieri-Colombi durante il periodo in cui James viveva sotto lo stesso tetto con Constance, che la stessa donna può aver fornito l’ispirazione, non certo lusinghiera, per l’elaborazione di uno dei personaggi fondamentali del romanzo: “Henry somiglia un po’ al protagonista del Carteggio Aspern che civetta con Miss Tita, ma senza averne lo scopo culturale: per lui in gioco c’era soltanto la gratificazione di una galanteria maschile, come scrive Leon Edel, forse il maggiore dei suoi biografi. Sapeva quanto lei era intelligente e sensibile, e sapeva quanto era sola. Certe domande dovette porsele se, proprio nell’ultimo capitolo del romanzo, fa chiedere a se stesso, al proprio narratore, se non abbia inconsapevolmente, ma nondimeno deplorevolmente, civettato con quella vecchia, ridicola, patetica, provinciale, con cui era stato il più gentile possibile”. La tragedia che incombe, il suicidio di Constance e le bellissime ultime pagine di questo onesto e delicato libretto cancellano tutto ciò che di ridicolo o di risibile tutta questa vicenda possa aver suscitato: “Henry, quella sera stessa, scrisse a un amico che Bellosguardo era diventato ormai per lui un perfetto cimitero di spettri. Ed era uno che di spettri se ne intendeva. Io da qui guardo la collina, ripenso a quella giornata nelle ville sulle tracce di Colm Tóibín e di amori non corrisposti mai fino in fondo, e mi chiedo quanto Henry fosse consapevole, in quel momento, che avrebbe dovuto portare con sé quello squilibrio, e quegli spettri, per il resto della vita”.

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giovanni baldaccini
6 years ago

La malinconia che mi suscita l’osservare e in qualche modo partecipare a queste vite trascorse che Firenze, spesso, inconsapevolmente racchiude.

giacinta
6 years ago

Posso annoverarmi tra i lettori stregati da “Il carteggio Aspern”, quindi ti ringrazio molto per questa tua segnalazione.
🙂

wwayne
6 years ago

Ciao! Ma non lo aggiorni più il tuo blog?

wwayne
6 years ago
Reply to  dietroleparole

Mi fa molto piacere che tu non ci abbia abbandonati. Grazie per la risposta! 🙂

vengodalmare
5 years ago

L’ho comprato subito, grazie.

vengodalmare
5 years ago
Reply to  dietroleparole

Hai ragione come sempre: veramente delizioso è stato leggerlo. Grazie