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Grillparzer, “Il povero suonatore”

FRANZ GRILLPARZER – “Il povero suonatore” – Marsilio

Ogni tanto mi concedo un lusso: rubare dagli scritti privati di Kafka consigli e indicazioni di lettura. Un modo sicuro per scoprire tesori come questo, resi ancora più grandi dall’ammirazione di un lettore d’eccezione.

“Bello “Il povero musicante”, vero? Ricordo di averlo letto una volta alla mia sorella minore come non ho mai letto altre cose. Ne ero talmente compreso che non c’era posto in me per errori di accentazione, di respiro, di suono, di compassione, di comprensione, prorompeva con una quasi sovrumana naturalezza, ero felice di ogni parola che pronunciavo. Ciò non si ripeterà più, non avrei mai più il coraggio di recitarlo un’altra volta.”

(Franza Kafka, “Lettera del 15.IV.1914 a Grete Bloch” da “Lettere a Felice”)

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Schnitzler, “Novelle”

ARTHUR SCHNITZLER – “Novelle” – Feltrinelli

“Vi è stato un istante, in cui ho avvertito che non esistono nè gioie nè sofferenze – no, ci sono soltanto smorfie di piacere e di cordoglio; ridiamo e piangiamo e invitiamo la nostra mente ad unirvisi.”

A questo istante, in ogni novella, Schnitzler accompagna il lettore, anzi, lo trascina, anche con una certa fretta. Fornisce gli elementi indispensabili alla comprensione della situazione in cui si sta inoltrando, ma lo fa come per soddisfare ad un obbligo, come se non potesse farne a meno. Ogni volta che leggo Schnitler ho questa sensazione.

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Stifter, “Cristallo di rocca”

ADALBERT STIFTER – “Cristallo di rocca” – Adelphi

Chiudendo il difficile cerchio dell’armonia.

Si avverte dietro queste righe un lavoro assiduo di ripulitura, di revisione , di riduzione. Perchè quello che Stifter ci mostra è un mondo innocente e quindi, pur nella presenza imponente della natura, innaturale. Come diceva Hofmannsthal, nei boschi di Stifter è assente la vipera del male. Si procede nella lettura temendo quasi che inavvertitamente tutto si trasformi in una melensa favola natalizia. E alla fine ci si accorge che in realtà ogni parola possiede la misura del grande stile.

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Stifter, “Pietre colorate”

ADALBERT STIFTER – “Pietre colorate” – Mondadori

Leggo Stifter e penso a Walser, leggo Walser e penso a Bernhard. Si comincia a camminare in un paesaggio armonioso e rassicurante che sembra tutto comprendere e tutto rispecchiare, si continua senza mai fermarsi perchè ciò che sta fuori deve sostituire quello zero tondo e in definitiva inconsistente che si porta dentro, si prosegue fino all’orlo dell’abisso perchè camminare vuol dire portare in giro il delirio lucido, la variazione infinita, l’esistenza che soccombe e che riversa se stessa in un paesaggio che si fa atroce e malato. Ma il paesaggio è solo un occasione, il viaggio è interiore e le pagine di questi tre autori sono miracolosa letteratura.

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Von Rezzori, “Edipo a Stalingrado”

GREGOR VON REZZORI – “Edipo a Stalingrado” – Guanda

“Pensare è un atto di disperazione”

Questo è un libro che non finisce, non si conclude, non si consuma, è un libro per lettori disincantati alla perenne ricerca dell’incanto, ogni sua pagina racchiude angoli di bellezza dolorosa e di acutissima intelligenza. Leggendolo avviene il miracolo del riconoscimento. Uno scrittore satirico, che sa anche cantare, cioè scrivere poeticamente, come dice George Grosz nello scritto che accompagna il libro.

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Bernhard, “L’origine”

THOMAS BERNHARD – “L’origine” – Adelphi

Traduzione di Umberto Gandini

L’origine

Perché eleggere Bernhard a nume tutelare, a pietra di paragone, a irraggiungibile meta, perché sceglierlo come supremo ideale letterario, con tutto quello che l’aggettivo letterario significa per me. La prima più istintiva risposta è epidermica: sono stata quasi subito conquistata da uno stile che appare straordinariamente volitivo e “arrogante”, che sembra voler prendere le distanze dal lettore, che si propone di allontanarlo, estenuarlo, deluderlo, che non indulge a compromessi, che non conosce piaggeria. Ad ogni insistente ripetizione dello stesso concetto e delle stesse parole, ad ogni lunghissimo periodo che è variazione di quello precedente, B. sembra volersi scrollare di dosso i lettori, o, almeno, quelli non determinati.

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Schneider, “Le voci del mondo”

ROBERT SCHNEIDER – “Le voci del mondo” – Einaudi

Procedendo nella lettura di questo libro, mi sono tornate prepotentemente in mente le pagine di altri libri da me molto amati, le voci di altri autori che fanno parte del mio mondo letterario. Non ho naturalmente nessun indizio che possa farmi pensare che veramente Schneider abbia avuto presenti gli stessi autori o che si sia a loro ispirato. Sono solo impressioni di una lettrice. L’ambientazione della vicenda narrata in un villaggio delle Alpi austriache nei primi anni dell’Ottocento riporta inevitabilmente ai racconti che Stifter ha riunito nella raccolta “Pietre colorate”. Schneider sembra partire da quel mondo puro e innocente, perfettamente armonico, sferico, intero e bastante a se stesso, dove la creazione artistica non è altro che uno dei tanti elementi naturali di un mondo privo del male; ma, già dalla prima pagina  (il romanzo inizia dall’ultimo capitolo), immerge il lettore nella cruda consapevolezza che questo mondo è destinato all’estinzione, che, letteralmente, verrà distrutto e che la storia che si accinge a narrare è cupa e terribile, che la genialità artistica non è un dono ma una maledizione. Se nei boschi di Stifter, come notava Hofmannsthal, manca la vipera del male, in quelli di Schneider la vipera è presente e nulla si salverà dalla sua lenta opera distruttiva.

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Sperber, “Il roveto in cenere”

MANES SPERBER – “Il roveto in cenere” – Oscar Mondadori

Quattro stelle per deferenza nei confronti del primo volume della trilogia narrativa dal titolo “Come una lacrima nell’oceano” del grande intellettuale galiziano novecentesco che Claudio Magris inserisce a buon diritto nella sua raccolta di saggi “L’anello di Clarisse – Grande stile e nichilismo nella letteratura moderna”, a fianco di scrittori del calibro di Hofmannsthal, Ibsen, Walser, Rilke, Musil, Canetti, Doderer e Singer. Mi ritengo doppiamente fortunata per essere venuta in possesso di questo volume (gli altri due che completano il ponderoso romanzo e l’altra opera narrativa dell’autore, “Gli acquaioli di Dio”, la sua trilogia autobiografica, sono ormai fuori catalogo e introvabili in traduzione italiana) e per aver potuto usufruire dello scritto di Magris come guida, a tratti illuminante, nella lettura spesso ostica di queste pagine piuttosto complesse. E’difficile valutare dal punto di vista letterario un romanzo che possiede una così forte connotazione politica. Si potrebbe dire che la degenerazione di una ideologia sia di fatto il tema portante di tutto l’impianto narrativo.

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Salten, “Josefine Mutzenbacher, ovvero la storia di una prostituta viennese da lei stessa narrata”

FELIX SALTEN – “Josefine Mutzenbacher, ovvero la storia di una prostituta viennese da lei stessa narrata” – ES

Va subito precisato, per sgombrare il campo da ogni eventuale fraintendimento,  che questo romanzo appartiene al genere della letteratura erotica e che, anzi, sotto molti aspetti, è un’opera di pornografia. Detto questo, provo a motivare il giudizio altamente positivo che gli ho assegnato. L’ambientazione nella Vienna di fine secolo (fine Ottocento), in pieno mito asburgico, mi ha spinto all’acquisto di un libro che ha, per me, una serie di ulteriori attrattive, diciamo così, esteriori: innanzitutto il nome dell’autore, Felix Salten (a cui devo il libro memorabile grazie al quale ho iniziato la mia “carriera” di lettrice, “Bambi”), la presenza di una postfazione, che è un vero e proprio saggio, a firma di Luigi Reitani, studioso e critico affidabilissimo e geniale, che ho imparato a conoscere nelle mie scorribande nei territori bernhardiani e, non ultima, la splendida copertina del volume che riproduce una cartolina postale della Sassonia di inizio secolo (inizio del Novecento) e che ha come soggetto una romantica bambina vestita di pizzo bianco che stringe al petto una bambola e fissa l’obiettivo con uno sguardo puro e sognante.

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Zweig, “Sovvertimento dei sensi”

STEFAN ZWEIG – “Sovvertimento dei sensi” – Corbaccio

Ogni volta che mi imbatto in una pagina di Stefan Zweig mi scopro nuovamente immersa nel fascino del suo stile un po’ aulico, ma innegabilmente efficace, irretita nelle sue abilissime costruzioni avvincenti di drammi interiori che agitano le anime di personaggi borghesi e agiati, senza d’altra parte apparentemente condurre a mutamenti decisivi nel loro stile di vita. Non stento allora a credere che negli anni Venti e Trenta del Novecento Zweig sia stato uno degli scrittori in lingua tedesca più conosciuti e più tradotti. Un autore brillante quindi, di successo, definito così da Ladislao Mittern nella sua “Storia della letteratura tedesca”: “Superficialissimo divulgatore, riuscì col suo stile brillante e sempre facile a essere l’autore prediletto della vastissima massa di lettori semicolti desiderosi di completare e specialmente di aggiornare la loro cultura”. Un giudizio impietoso, che trova molte voci concordi tra letterati contemporanei all’autore. Ma, innegabile, il fascino dei suoi racconti, almeno per me, rimane.

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