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Michel de Ghelderode, “Escuriale. La scuola dei buffoni”

MICHEL DE GHELDERODE  – Escuriale. La scuola dei buffoni – Einaudi

Michel de Ghelderode“Blasfemo!… Colei che muore è bella, pura, santa. Muore del silenzio e delle tenebre di questo palazzo, ove le muraglie hanno occhi, i saloni di gala nascondono botole e strumenti di tortura. Muore di questo vivere fra creature sinistre, lontana dal sole, sequestrata, straniera. Muore, regina senza popolo e d’un regno che cola sangue, in cui governano gli spioni e gl’inquisitori. Ve lo dico io, la Morte è benefattrice, e ne sollecitai la venuta così come pure voi l’avete sollecitata. È giunta ben presto, poiché non s’aggira mai lontano da questi luoghi che spartisce con la Follia”.

Una prima impressione, potentissima, si avverte nella lettura di questa scrittura teatrale, quella di una forza espressiva tale che riesce a scolpirsi nella mente di chi la incontra, anche prescindendo dalla rappresentazione scenica per cui è nata e dall’opera, evidentemente ottima, del traduttore. Di questo scrittore belga francofono, trionfatore nei teatri parigini degli anni Cinquanta, nato nel 1898 nei pressi di Bruxelles e morto nel 1962, mentre l’Accademia Svedese stava prendendo in considerazione la possibilità di assegnargli il Premio Nobel, sono disponibili in traduzione italiana, oltre ai due drammi compresi nella presente edizione del 1963, altri due testi teatrali – “Magia rossa” e “La Ballata del Gran Macabro”, editi nel 1965, la raccolta “Teatro”, edita sempre da Einaudi nel 1972, e infine i racconti riuniti sotto il titolo “Sortilegi”, usciti presso Panozzo editore nel 2001, che ho avuto l’opportunità di leggere e che mi hanno permesso di conoscere e apprezzare una scrittura suggestiva e ricchissima di pathos, originalissima, di cui non avevo in precedenza mai sentito parlare. E’ doveroso citare Gianni Nicoletti, curatore dell’opera drammaturgica e anche suo traduttore insieme a Flaviarosa Rossini, e Manuela Raccanello, curatrice e traduttrice dei racconti, oltre che autrice di tutti gli apparati che nel volume edito dalla Panozzo forniscono preziose informazioni sulla biografia e sulla produzione di De Ghelderode, e, soprattutto, di una introduzione al volume, dal titolo “Crepuscoli ed esorcismi”, efficace nel suo delineare ciò di cui l’ispirazione di questo autore si nutre. È superfluo sottolineare che resta sconosciuta al lettore italiano l’imponente produzione in prosa di un autore così importante oltre che gran parte della sua drammaturgia – della quale il presente volume offre un assaggio che la rende ambita e anche indispensabile – e che le poche edizioni sopra citate risultano di difficile reperimento.

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Adriaens-Pannier, “Léon Spilliaert”

ANNE ADRIAENS-PANNIER – “Léon Spilliaert” – Somogy Editions D’Art

“Ma Spilliaert si collega anche a un altro autore, del tutto diverso: Thomas Bernhard. Quando venne il momento di pubblicare il primo dei cinque volumi dell’autobiografia di Bernhard, ricordo che non sapevo bene dove rivolgermi. Perché Bernhard appartiene, in grado eminente, a quegli autori per i quali è molto difficile trovare un’immagine da mettere in copertina (e di fatto, presso Suhrkamp, i suoi romanzi hanno avuto sempre copertine tipografiche). È come se la sua altissima idiosincraticità si estendesse al regno delle figure, respingendole. Finalmente la scelta cadde su uno Spilliaert: un lungo, basso muro dietro il quale si espande un cielo giallo-rossastro e, di lato, si profila un albero dai fitti rami secchi. Non avrei saputo dire perché quell’immagine mi sembrasse adatta per L’origine, libro centrato su Salisburgo, città barocca infettata da nazismo e bigotteria. Ma non ne ero scontento. Due anni dopo toccò al secondo volume dell’autobiografia, La cantina. E anche questa volta mi fissai su uno Spilliaert: vari tronchi, nudi, su un terreno spoglio. Poi venne il momento del terzo volume, Il respiro – e fu un altro Spilliaert: un grande albero che svettava, con molti rami secchi. A questo punto si era creata una complicità e un’alleanza segreta fra l’autobiografia di Bernhard e gli alberi di Spilliaert. Per il quarto volume, Il freddo, in copertina si vede ancora uno Spilliaert: un viale d’inverno, bordato da alberi con i rami secchi. Giunto all’ultimo volume, Il bambino, tornai a sentirmi quanto mai incerto.

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Claus, “Corrono voci”

HUGO CLAUS – “Corrono voci” – Feltrinelli

Ciò che immediatamente colpisce il lettore di questo breve e intenso romanzo è l’originalissima tecnica narrativa con cui è costruito. Claus non racconta una storia, lascia che la vicenda si dipani attraverso le “voci” dei suoi personaggi, protagonisti e spettatori, tutti comunque sempre più coinvolti in prima persona. Corrono le voci e, tutte insieme, progressivamente ci aiutano ad entrare in una vicenda crudele e misteriosa. Sono le voci degli abitanti di Angelem, un villaggio nel cuore delle Fiandre; tra le sue strade, case, negozi, osterie e nel bosco che lo circonda avvengono i fatti inquietanti che accompagnano il ritorno a casa del protagonista del romanzo.