Categories
letteratura italiana

Curzio Malaparte, “Kaputt”

CURZIO MALAPARTE – Kaputt – Adelphi

“Tutti hanno l’occhio disperato della renna. Sono bestie, penso, sono bestie selvatiche, penso con orrore. Tutti hanno nel viso e negli occhi la bellissima meravigliosa mansuetudine e tristezza delle bestie selvatiche, tutti hanno quell’assorta e malinconica pazzia delle bestie, la loro misteriosa innocenza, la loro terribile pietà. Quella pietà cristiana che hanno tutte le bestie. Le bestie sono Cristo, penso, e mi tremano le labbra, le mani mi tremano”.

“Kaputt” è un libro che si impone e si fa amare con l’imperiosità del capolavoro, ma amarlo è una fatica che richiede impegno ed abnegazione, amarlo è il premio che si ottiene alla fine di un percorso accidentato e dolorosissimo. “Kaputt” è un libro che si ama nonostante le perplessità che suscita in alcune sue pagine, nonostante le domande a cui non dà risposte, nonostante la confusa sensazione di leggere il resoconto di una immane tragedia attraverso gli occhi di un privilegiato per sorte e convenienza politica, di un potente che con i potenti ha a che fare, che soffre e di indigna per le loro colpe, maneggiando spesso l’arma spuntata del motto di spirito, tollerato e benvoluto da chi di tanto orrore è corresponsabile, capace di dosare disgusto e compassione, di camminare, senza cadere, sul filo di un instabile equilibrio. “Kaputt” è un libro che si fa amare nonostante l’irritazione e l’indignazione che sorgono spontanee nel lettore, costretto da Malaparte a sostare insieme a lui nelle stanze del potere, nei palazzi del potere di mezza Europa che, nel bel mezzo degli anni più bui della guerra, sopravvivono come isole fortunate, noncuranti dell’umana disperazione che le circonda. Nonostante tutto questo, “Kaputt” si impone, travolge sospetti e difese, costruisce con la potenza di una scrittura raffinatissima e lussureggiante, un affresco pieno di ombre, e dove le ombre si fanno più cupe, penetra e scava, con uno stile a tratti maestoso, capace di decantare l’epica dell’orrore, di suscitare disgusto per tramutarlo in pietà e di lenire il rimpianto e la nostalgia con gli accenti poetici di una umanissima tenerezza.