JOHANNES URZIDIL – L’amata perduta – Adelphi
“Chi canterà, se io non ci sono, la melodia delle case e delle strade, il tardo bagliore del sole sui merli delle torri, la pensosità delle cariatidi, chi intonerà il canto sommesso delle vecchie venditrici di ciambelle nel parco, i destini delle sponde del fiume e la maestà dei loro ponti?”
Praga, la città che si nega, la traccia indelebile di una vita che non ritorna né si consuma, la città indefinibile e allusiva, eccentrica e conturbante, amata, appunto, e perduta e, proprio perché perduta, destinata a non essere mai afferrata e compresa totalmente e a trasformarsi nel mito di se stessa. Praga incarna nella cultura mitteleuropea il topos letterario della nostalgia e possiede infiniti repertori di suggestioni in grado di mantenere viva, intatta, la sua parvenza di città del sogno. Ma la nostalgia è un terreno fertile, che si lascia percorrere e che, anzi, chiede di essere percorso; la nostalgia può essere interrogata e indagata, può essere cantata e celebrata e, infine, può essere scandagliata, con scrupolo e attenzione, perché si vuole tenerla in vita e sostare a lungo nei suoi territori, nell’illusione di ritrovare il tempo già vissuto. Leggendo “L’amata perduta” di Johannes Urzidil sono tornata spesso alle pagine di due bellissimi testi che, da sempre, costituiscono due imprescindibili guide per le mie incursioni nella letteratura ceca, ma anche, più in generale, mitteleuropea. Il primo è il ricco saggio di Claudio Magris “Praga al quadrato” (in “Alfabeti”), il secondo è il capolavoro di Angelo Maria Ripellino, “Praga magica”.