PETER HANDKE, “Pomeriggio di uno scrittore”, Guanda
Traduzione di Giovanna Agabio
“Ogni parola che, non parlata, bensì in forma di scrittura, annunciava la prossima, gli faceva tirare un sospiro di sollievo e lo ricollegava al mondo; soltanto con questo felice annotare per lui cominciava il giorno, e poi, così comunque pensava, fino al mattino seguente poteva anche non accadergli più nulla.”
In un pomeriggio inoltrato di inizio dicembre, uno scrittore si alza dalla sua scrivania ed esce di casa. Attraversa il suo giardino, esce dal cancello e si dirige verso la città. Evita la ressa, attraversa i cortili interni, sbuca nella piazza vicina al fiume, percorre il ponte e raggiunge il ristorante sulla riva. Sfoglia i giornali, beve un bicchiere di vino e osserva a lungo gli uccelli che volano sull’acqua. Poi esce dal locale e si dirige fuori città attraverso un vicolo molto animato che termina su una strada carrozzabile. Decide di raggiungere la periferia e lungo la strada soccorre insieme ad altre persone una donna anziana in difficoltà. Al limite della città siede al coperto sulla panca di una fermata dell’autobus, poi entra in una trattoria che lui chiama “la bettola” e osserva a lungo e con grande attenzione i vari avventori. Torna verso il centro della città, entra in un bar dove ha un appuntamento con un traduttore. Infine torna a casa e termina la sua giornata.



“La notte della Morava”, uscito in Germania nel 2008, non è l’ultimo romanzo di Handke, ma possiede tutte le caratteristiche dell’opera definitiva: le sue pagine sono il resoconto poetico di una vita, la riscoperta e la rilettura di un’origine e di una appartenenza, il canto di una balcanicità perduta, la lotta all’ultimo sangue condotta fino al rifiuto, fino al silenzio, contro la scrittura, contro un destino e una vita ad essa dedicati. E ancora: un pellegrinaggio a tappe verso luoghi e paesaggi dell’anima, un viaggio interiore nella memoria e nella consapevolezza della propria essenza e poi il bilancio di un amore, così conturbante e violento da essere desiderato, ma innumerevoli volte rifiutato e avvertito come un pericolo. Handke, che è uno scrittore esigente con i suoi lettori, con il suo stile ostico, spesso criptico, con le sue favole metafisiche, con quegli sprazzi di poeticità così rari, improvvisi e avari che sembrano evitare di proposito qualsiasi possibilità di condivisione o di riconoscimento, con questo romanzo li travolge letteralmente, concedendo loro l’accesso ad una materia narrativa fantastica ma anche evidente trasposizione di esperienze e memorie reali, oltretutto strutturata in modo geniale ed accattivante, in grado di mantenere uno schermo, una sorta di residua distanza tra l’autore e la narrazione e quindi tra l’autore e il lettore.