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Jakobson, “Russia Follia Poesia”

ROMAN JAKOBSON – “Russia Follia Poesia” – GUIDA

Difficile scegliere una sola delle motivazioni che rendono questo saggio – in realtà una raccolta di saggi – di Jakobson fondamentale per chi ama la poesia russa del primo Novecento. C’è innanzitutto la notorietà del suo autore, il suo ruolo preminente negli studi di linguistica e di semiotica, il suo fondamentale contributo alla nascita del formalismo russo e dello strutturalismo e il conseguente interesse per il lettore contemporaneo che, in queste pagine, ha il privilegio di assistere al modo in cui lo studioso delle strutture della lingua è in grado di affascinare, comunicando la sua passione per la parola poetica. C’è lo splendido titolo, che, con la semplice enunciazione di tre parole, racchiude il senso della raccolta, una ricerca appassionata ma anche intellettualmente rigorosa e articolata, sull’essenza della poesia. “Russia”, innanzitutto, perché Jakobson, che negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione ha preso parte al movimento poetico e artistico dell’avanguardia russa, raccolto intorno al Circolo di Mosca, è convinto che nel primo trentennio del Novecento “la poesia ribelle creata dall’avanguardia russa ha trasformato il verso nella sua essenza, nella sonorità e nel lessico”. “Follia”, perché, come essa rifiuta la funzione dialogica del linguaggio, così la grande poesia si rivela pienamente nella sua essenza monologante e, infine, “Poesia”, perché, afferma Jakobson, “se la prosa è un’invenzione, il canto, come dice un antico proverbio russo, è la verità”.

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Jakobson, “Una generazione che ha dissipato i suoi poeti”

ROMAN JAKOBSON – “Una generazione che ha dissipato i suoi poeti” – SE

Voglio essere capito dal mio paese,
ma se non sarò capito, che fare?
Attraverserò il paese natale in disparte
come una pioggia obliqua d’estate.

Pasternak, nel suo libro autobiografico “Il salvacondotto”, dedica pagine commosse alla rievocazione del suicidio di Majakovskij, suo amico e coetaneo, e si pone come difensore della sua memoria e della sua opera di cui ben comprende l’immensità e l’unicità, proprio per evitare al poeta una seconda morte, provocata da una popolarità postuma programmata, fuorviante e strumentalizzante. “Una generazione che ha dissipato i suoi poeti” è una voce ulteriore che si leva a proteggere e a preservare la verità della vita e della poesia di Majakovskij. E’ ancora la voce di un amico, Roman Jakobson, e questo scritto costituisce una sorta di necrologio. E’ stato infatti composto il 5 giugno 1930, a poco più di un mese dal suicidio di Majakovskij (14 aprile 1930) e possiede un singolare valore perché trae ispirazione dalla commozione umana per la perdita di un amico e dalla profonda comprensione che deriva al suo autore dall’appartenere alla stessa generazione del poeta. Si tratta quindi della voce di un testimone che, in più, si avvale delle capacità intellettuali del grande linguista, in grado di dare una lettura sistematica e globale della poesia di Majakovskij. Vittorio Strada, nella bella Postfazione a questo scritto, informa il lettore che le pagine di Jakobson rappresentano il primo tentativo di considerazione letteraria globale di Majakovskij, un tentativo attuato con intelligenza amara e pacata, forse già consapevole che la Russia staliniana avrebbe cercato di ridurre il poeta ad una bandiera e di immiserire le cause del suo suicidio, imputandole ad un supposto ed insanabile conflitto interiore tra il poeta della propaganda e dell’ode epica e quello intimista della lirica e della poesia del cuore. Jakobson afferma, fin dalla prima pagina, che la poesia di Majakovskij è qualitativamente diversa da tutto quello che nel verso russo c’è stato prima di lui e che è la struttura stessa della sua poesia ad essere profondamente originale e rivoluzionaria.