ROMANO BILENCHI – Conservatorio di Santa Teresa – BUR
“Anche Santa Teresa con i suoi cortili silenziosi sfumava dolcemente nel suo ricordo. Immaginò di essersi definitivamente staccato da tutte le vicende che avevano formato la sua vita fino ad allora. Credette che senza di lui tutte quelle persone, gli alberi, gli stessi edifici nei quali viveva e che gli erano familiari avrebbero vissuto un’esistenza migliore e più libera”.
“Conservatorio di Santa Teresa” è un libro denso, densissimo; ogni suo capitolo possiede un peso specifico tale che lo rende illusoriamente ben più esteso dei tempi narrativi che lo delimitano e indispensabile nell’economia del romanzo, per quell’accumularsi di avventure della percezione che – al di là dell’intreccio – ne costituiscono la sostanza. Avventure della percezione e non della crescita, perché ciò che rende avvincente questo romanzo – che pure ripercorre il passaggio dall’infanzia all’adolescenza del giovane protagonista – non sono gli accadimenti, ma il continuo, ininterrotto accumularsi di sensazioni, le infinite e mutevoli reazioni che, con una intensità e una frequenza esasperante ma al contempo affascinante, il contatto con il mondo esterno provoca nell’animo del protagonista, componendo nella sua memoria interiore, straordinariamente recettiva, un disegno sempre più complesso, confuso e contraddittorio. Bilenchi costringe il lettore a seguire questo percorso che è denso di scarti improvvisi, colpi di scena, soluzioni impreviste, di tutto ciò che si potrebbe definire avventura, se non fosse tutto chiuso all’interno di un’anima – e un’anima bambina – che è una sorta di tabula rasa che va rapidamente accumulando tutto ciò che dovrebbe servirle a farsi un’idea coerente e rassicurante del mondo, ma che in realtà contribuisce ad una sempre più raffinata esperienza di una irriducibile estraneità.