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letteratura polacca

Conrad, “Vittoria”

JOSEPH CONRAD – “Vittoria” – TEA

Questo non è uno dei libri più famosi e conosciuti di Conrad, ma egli afferma di aver cercato di riversare in “Vittoria” l’essenza della vita più che in qualsiasi altro suo romanzo. E quindi, riemergendo dal fascino ipnotico delle atmosfere esotiche, dallo straniamento imposto dai ritmi dilazionati del racconto, dallo sconcerto provocato dalla improvvisa accelerazione con cui la tragedia, prevista e attesa fin dalle prime pagine, infine si compie, ritengo sia una forma di doveroso omaggio all’”Immenso Conrad” (la definizione è di Michele Mari) il tentativo di scoprire tale essenza, o almeno, di individuarne alcune tracce. Nel racconto “Otto scrittori” (in “Tu, sanguinosa infanzia”), sempre Mari, rivolgendosi a Conrad, dice: “Forse mi sto sbagliando, ma dalle vostre storie io credo di aver capito che se il naufragio delle illusioni è drammatico, vivere tutta la vita nell’illusione è patetico: e voi non siete uno scrittore patetico, voi siete un meraviglioso scrittore drammatico”. L’essenza della vita, quindi, come naufragio delle illusioni.

In “Vittoria”, Conrad va oltre. Heyst, l’eroe del racconto, è “uno strano essere, senza bisogni”, uno che considera pensieri e azioni delle trappole che generano infelicità, un uomo che vive solo su una piccola isola e che si sente “né più né meno solitario che se fosse in qualunque altro luogo, deserto o popoloso”. Heyst contempla la propria vita che deve essere “un capolavoro di superiore solitudine”. Il genio di Conrad sta nella scelta di immergere un uomo simile, di colpo, e quasi contro la sua volontà, in un’azione drammatica. E l’azione si svolge e si compie su un palcoscenico fatto di mare, cielo, foresta, fatto dal “palpito ambiguo dell’ora e i mille toni del cielo e del mare in quella cangiante e un po’ mefitica vaporosità” (M. Mari). Heyst è costretto dagli eventi a misurarsi con “gli emissari del mondo esterno”, che sono “l’intelligenza malvagia”, “il selvaggio istinto” e “la forza bruta”, ma, soprattutto, deve misurarsi con l’inaspettato amore. Così, lui, che non ha mai ucciso un uomo né amato una donna, nemmeno nei suoi pensieri, nemmeno nei suoi sogni, è costretto, su questo palcoscenico, a violare la propria natura, perché non si sfugge impunemente dalla vita.

“Ho detto alla terra da cui sono nato: – Io sono io, e tu sei un’ombra. – E per Giove, è proprio così! Ma si direbbe che simili parole non possono venir pronunciate impunemente. Eccomi qui, sopra un’Ombra abitata da Ombre. Come si trova indifeso un uomo contro le Ombre! Come è possibile intimidirle, persuaderle, resistere ad esse, affermare se stessi contro di loro?”. Che l’essenza della vita sia nell’impossibilità di sfuggirla?

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