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letteratura ungherese

PÉTER ESTERHÁZY, “Harmonia Cælestis”

PÉTER ESTERHÁZY, “Harmonia Cælestis”, Feltrinelli
Traduzione di Giorgio Pressburger e Antonio Sciacovelli
Introduzione di Giorgio Pressburger

“Insomma, mi devo mettere a impastare, rimpastare, far lievitare. Ma chi? Mio padre. Devo metterlo su un piedestallo, devo modellarlo, fotografarlo. Raccogliere i pezzi della sua fotografia che una volta mia madre fece a pezzi in un momento di rabbia, e rimetterli insieme. Quando? Nel corso del tempo. E devo preparare degli abbozzi, disegni, dipinture. Mio padre come incisione, acquarello, stampa, caricatura, paesaggio e scena di battaglia.”

Giorgio Pressburger, curatore e traduttore del romanzo di Péter Esterházy, nella sua Introduzione, lo definisce “una delle opere narrative più importanti della letteratura ungherese”, preparando il lettore a quella che si rivelerà una vera e propria avventura, un’immersione all’interno di un magma narrativo infinito, debordante e multiforme. Si potrebbe anche dire avvincente, certo in un modo del tutto particolare, per la varietà dei suoi toni, leggeri, pensosi, ironici, arguti e spesso irresistibilmente comici, illuminati da improvvisi lampi lirici, che impongono, a chi si accinga all’impresa, di seguire l’autore nel suo interminabile divagare in quell’immenso materiale che gli offre la storia della sua famiglia. Péter Esterházy appartiene infatti ad una delle più importanti famiglie aristocratiche ungheresi, discendente da una stirpe il cui albero genealogico si perde nella notte dei tempi, protagonista di spicco dei principali eventi che hanno caratterizzato la storia della sua terra.

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