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letteratura ceca

Hermann Ungar, “I mutilati”

HERMANN UNGAR – I mutilati – SILVY

“Ecco la breccia, da cui irrompeva l’imprevisto e spargeva il terrore”

Quale esperimento di distillazione e dissociazione, di corruzione e vaporizzazione, di riduzione a poche e instabili particelle di disperata e tormentata umanità può aver condotto alla creazione di Franz Polzer, il patetico eroe del romanzo di Ungar? Di sicuro sui banchi contigui dello stesso laboratorio si andavano delineando gli allucinati lineamenti del funzionario Krastik, protagonista de “La porta verso l’impossibile” di Oskar Baum e quelli, ancora più eterei, dell’anonimo ed evanescente eroe de “La prova del fuoco” di Ernst Weiss. Il laboratorio è la Praga dei primi decenni del Novecento, la capitale magica d’Europa, la Praga magica di Ripellino e la Praga al quadrato di Magris. Il laboratorio è la Praga di Kafka. E’ come se la letteratura in quegli anni fosse stata destinata ad ereditare i segreti degli alchimisti che tra i vicoli all’ombra del Castello, in un lontanissimo passato, avevano cercato la procedura alchemica in grado di trasformare in oro i metalli. Ed è come se questo impossibile procedimento fosse continuato, per tentativi, mediante la penna di scrittori in grado di farsi carico di disperate esistenze umane e di trasfigurarle nell’oro della grande letteratura.

La casa editrice Silvy, con la sua attenzione per la cultura Mitteleuropea, ha il merito di permettere ai lettori italiani di avvicinarsi a questi geniali scrittori e alle loro opere, destinate altrimenti a rimanere misconosciute, dimenticate o, al massimo, a sopravvivere stentatamente in una zona d’ombra, oscurate dall’accecante splendore della produzione kafkiana. “I mutilati” di Ungar, uscito in una prima traduzione italiana nel lontanissimo 1946 presso la casa editrice Cianferoni di Firenze, con il titolo “I minorati”, è uno dei prodotti di altissima qualità uscito da quella città laboratorio che era Praga all’inizio del Novecento, in cui si andavano sperimentando modi e linguaggi per arrivare – con le modalità immaginifiche e stilistiche proprie all’arte – a scandagliare quella nuova umanità così persa e destabilizzata che ancora doveva abituarsi a vivere in un mondo diventato incomprensibile, a navigare a vista senza punti di riferimento nella propria interiorità e a convivere con l’artificiosità del proprio ruolo sociale. Esperimenti dunque, i primi, per quelli che saranno i temi e le suggestioni della letteratura del Novecento. Un esperimento condotto dagli scrittori praghesi e boemi di lingua tedesca, o meglio, dagli scrittori praghesi ebrei di lingua tedesca, come Kafka, ma anche come O. Baum, E. Weiss ed Hermann Ungar.

Ungar riesce così ad avvalersi e a nutrirsi dell’eredità letteraria di tre culture, ceca, tedesca ed ebraica, e a muoversi in equilibrio perfetto all’interno di una materia profondamente instabile. Perché “I mutilati”, storia tragica di disagi, ossessioni, traumi, fobie e sensi di colpa, si avvale di una struttura narrativa serrata e perfetta, priva di soste, indugi o ripensamenti che, a partire dai presupposti iniziali – la formazione di Franz Polzer – conduce a tappe forzate e inevitabili alla tragica conclusione. Colpisce nel romanzo questa trama narrativa in qualche modo accattivante e trascinante, che irretisce il lettore, creando aspettative e previsioni – e premiandole regolarmente – dosando i colpi di scena ed elaborando un vero e proprio itinerario verso la dissoluzione. Una facilità narrativa che Ungar utilizza per seguire, direi quasi impietosamente, la degradazione del povero impiegato di banca Franz Polzer, al quale nulla viene risparmiato, tanto che appare, nella sua desolata e malata interiorità e nei complessati rapporti sociali, quasi un caso da manuale psichiatrico. Ungar sembra possedere una propensione verso l’osservazione del funzionamento dei meccanismi della psiche, dei modi in cui essa reagisce quando viene in contatto con la realtà esterna. Una curiosità nei confronti della psiche malata, mutilata appunto, ferita da traumi lontani nel tempo, oppure da limitazioni insite nella natura individuale, da debolezza di carattere, da vergognose tare morali, dall’assenza di una reale vita spirituale, dall’ignoranza, dalla malvagità, oppure, infine, dalla vera e propria pazzia. Sono tutti mutilati, in effetti, i personaggi di Ungar e forse Karl Fanta, l’unico che lo è fisicamente a causa di una terribile malattia, è il meno mutilato di tutti. A tutti manca qualcosa di essenziale per vivere un’esistenza almeno sopportabile e tutti vengono trascinati in una spirale distruttiva, esattamente come il corpo di Karl che, operazione dopo operazione, viene privato delle sue parti malate. Facilità narrativa e capacità di indagare nella psiche umana si accompagnano quindi nel romanzo di Ungar ad una visione sostanzialmente tragica della vita, ad una metafisica dell’orrore tanto più definitiva quanto più decantata negli avvenimenti quotidiani di una vita insensata. Disgusto e vergogna sembrano essere le conseguenze di ogni azione di Franz Polzer: l’amicizia è ingannevole, l’amore non esiste, il sesso è violenza e tormento, l’umiliazione è sempre in agguato dietro ogni angolo. Nudo, vulnerabile e deriso, egli trascina le proprie giornate tentando di arginare i suoi terrori con la ritualità e l’ossessione per l’ordine, una fragile sponda che nulla riesce a preservare.

Ma Ungar non sarebbe un boemo se nelle sue righe la materia tragica non convivesse inscindibilmente con ciò che di grottesco una mente lucida e disincantata può cogliere nell’esistenza umana. Sì perché Franz Polzer è un personaggio grottesco che non suscita nel lettore compassione o pietà ma un vago senso di irritazione. L’accumulo esorbitante delle sue ossessioni e manie, la folla di complessi che lo circondano e lo rinchiudono nella sua prigione mentale rendono grotteschi gli aspetti tragici della sua esistenza. Così come grotteschi e quasi macchiettistici sono gli ambiti sociali – la banca, i caffè, le osterie, le botteghe, gli appartamenti – teatro delle reiterate umiliazioni che Franz è costretto a sopportare. Sono i luoghi della tradizione letteraria praghese, quelli che, un tempo abitati da personaggi grossolani, un po’ volgari e bonaccioni, stanno diventando luoghi di persecuzione per chi ha dipinto in volto i lineamenti del disadattato; sono quelli che negli stessi anni stanno diventando i luoghi kafkiani, scenario dei suoi lucidi sogni. La tragedia alla fine si compie, qualcosa di terribile accade e il lettore ne è consapevole dalla prima pagina, così come, da subito, ha la netta e sicura impressione che questa commistione di facilità narrativa, capacità di indagine psicologica, cupa visione metafisica, propensione per il grottesco, condita con una fervida e quasi morbosa fantasia, è grande letteratura.

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Francesco Luigi Bovi
Francesco Luigi Bovi
11 years ago

Sei dunque ritornata a Praga, che prima di essere la città di Ripellino, di Magris, di Kafka è la ‘tua’ Praga, il luogo delle officine scrittorie dal pedigree insigne dove tu sola, cara Anna, riesci ad osservare e ad analizzare il chimismo delle fermentazioni letterarie più incontrollate, suscitando poi in chi ti ascolta subito la voglia di immergersi in un bagno estetico da cui poter uscire ribattezzato nel nome di questa scrittura rigenerante di ascendenza ceca, tedesca ed ebraica.
Con pathos e con gentile risolutezza ricordi ai sordi amanti della prosa filistea che ancora esiste una narrativa, quella di Hermann Ungar – per nulla classificabile sommariamente ‘sub specie’ “letteratura tedesca di Praga”, tanti e biologicamente diversi sono gli elementi linguistici fusi nel crogiuolo praghese dal quale essa è sgorgata – capace di eseguire esami autoptici sui tessuti putrescenti della psiche umana e di produrre referti medico-legali sulla “metafisica dell’orrore”.
Mi è giunto pure l’invito, da altra voce critica e vaticinante, a leggere subito un’altra novel dell’Ungar: “La Classe”, nel cui habitat scolastico viene ribaltato il punto di vista törlessiano per riproporre una situazione iniziatica a carico del docente, la nuova persona fisica destinata al dissolvimento della ragione. Per ora tuttavia, rimango piacevolmente contagiato dal tuo entusiasmo nell’annunciare in stile bullettino di archeologia libraria la riedizione e la ritraduzione de “I minorati”. Complimenti per puntualità. Ciao! Francesco

lallaerre
11 years ago

Sempre estremamente preziosi i tuoi “appunti di lettura”.
Il tempo del lavoro, ancora troppo tiranno, mi fa perdere tante occasioni di lettura, ma i tuoi suggerimenti saranno per me importanti punti di riferimento lungo il percorso ancora da compiere. Grazie Anna.
Un caro saluto.
luciana

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