Categories
letteratura ceca

BIANCA BELLOVÁ, “L’uomo invisibile”, Miraggi

Traduzione di Laura Angeloni

“La prima volta che vedi una mano staccata ti sembra impossibile, credi che sia un brutto sogno, e la seconda pensi: poveretto, sarà mutilato per sempre, e non puoi che superare il disgusto e distaccarti dalla realtà, perché è l’unico modo. E gli stringi il braccio con un laccio emostatico, per evitare che si dissangui, anche senza una mano si sopravvive no? E quando hai finito, tutto sudato e coperto di sangue, guardi bene il ragazzo e scopri che è morto. Allora ti senti svenire, e poi ti viene da vomitare, e da piangere, ma sai che non puoi, perché ti costerebbe la vita. Per fortuna l’adrenalina ti pompa nelle vene con una tale forza che nemmeno fai in tempo a renderti conto di quello che è successo. E la sera vorresti solo ubriacarti, ma non c’è niente da bere. E rimani così, staccato da tutto.”

Ho incontrato per la prima volta la voce letteraria di Bianca Bellová leggendo il suo bellissimo romanzo “Il lago” e la ritrovo qui con registri e stili in parte diversi, ma pur sempre riconoscibili. Per esempio riconoscibile è la capacità dell’autrice di gestire una trama complessa senza perderne le fila, intrecciandole, lavorandole, fino a condurle ad una conclusione dove tutto, anche ciò che è sottinteso, trova un senso.

La scrittrice costruisce quindi un labirinto e costringe il lettore a percorrerne quasi alla cieca i vari tratti, come se fossero narrazioni indipendenti, a formulare ipotesi sul senso ultimo di una vicenda che mescola il passato con il presente e la realtà con quel tanto di fantastico e di irrazionale che cerca di spiegarla o di darle un senso.

La capacità affabulatoria, che mi è sempre parsa una caratteristica degli scrittori cechi, trova una conferma nella prosa di questa scrittrice contemporanea che racconta in questo romanzo una lunga storia di famiglia e i suoi drammi oscuri che gettano ombre da una generazione all’altra, una storia che si esprime con voci e sensibilità estreme prevalentemente femminili, appartenenti a quelle donne che, come afferma l’autrice nella dedica iniziale, “tessono il collante del mondo”.

Bianca Bellová ha origini ceco-bulgare ed è la sua terra che probabilmente traspare dalle caratteristiche fantasiose di una ambientazione accurata che non trova però riscontri nella realtà geografica e da una toponomastica inventata e affascinante che contribuisce a creare la scena adatta allo svolgimento di una sorta di fiaba piena di crudeltà e di dolore, ma anche di perdono e di rinascita.

Serafina, paese natio della protagonista e voce narrante, è il luogo centrale del romanzo, quello in cui è avvenuto nel passato il fatto traumatico che ha colorato di angoscia le vite di chi ora non c’è più e di coloro che cercano una via di uscita da un destino avverso. E’ un luogo che respinge e attira, che “ti incanta con la sua grazia e bellezza, e con l’altra mano ti taglia la gola”. Un paese periferico, ancora immerso nella campagna che possiede i profumi, i colori e persino i ritmi di un altrove, dove i vivi accettano di condividere l’esistenza con i fantasmi innocui e familiari di persone e animali le cui storie si tramandano da una generazione all’altra. Un idillio macchiato da un peccato il cui ricordo è mantenuto in vita dal campanile murato con la sua campana muta destinata a non suonare più, simbolo potente di uno stato di grazia ormai irrecuperabile.

Nel romanzo c’è una corrispondenza tra il trauma familiare – e il peccato che lo ha originato – e il destino di Serafina, la cui comunità è stata complice attiva dello stesso peccato, che viene progressivamente coinvolta nei preparativi di una guerra indefinita e  sempre più minacciosa che costringe i più giovani a partire per il fronte per affrontare la terribile vita di trincea, tra il dolore muto dei padri e quello urlato delle madri. 

L’autrice riesce in questo modo, modulando drammi privati e collettivi, a permeare progressivamente le sue pagine di “un’atmosfera opprimente e sospesa”, come si legge nel risvolto di copertina, “carica di paura, che riapre vecchi rancori e nutre ostilità e meschine invidie”.

Al centro di tutto, sfuggente e quasi invisibile a lungo per lo stesso lettore, sta la sorte dell’uomo a cui il romanzo deve il titolo, invisibile per il colore della pelle che gli dona la capacità di scomparire nel buio della notte durante uno scherzo giocoso in famiglia, ma anche e soprattutto perché la società del paese lo guarda con sospetto, lo isola, non si fida di lui e lo considera un nemico, dello stesso genere di quei soldati stranieri, gli amali, che minacciano la nazione: “Lei è mai stato a Serafina? Lì solo il sindaco e il farmacista hanno lo sciacquone in bagno, credono ancora agli spiriti e sulla piazza davanti al municipio pascolano le capre. Gli abitanti sono un po’ duri di comprendonio, ma a tirar fuori il coltello ci mettono mezzo secondo. Sono capaci di azzuffarsi per un semplice pettine, ma se c’è una cosa su cui si trovano tutti d’accordo, se c’è una cosa che davvero li unisce, è l’odio per gli amali”.

La paura del diverso e l’intolleranza nei confronti dello straniero, il razzismo strisciante di chi non tollera alcun confronto, i pregiudizi e le ingiustizie sono i temi portanti e generali del romanzo. L’autrice ha il merito di averli saputi declinare e incarnare, rendendoli gravidi di conseguenze per la vita del singolo e delle comunità.

Forse raccontare una storia come questa serve anche ad indicare una strada, a far capire che è possibile “invertire la rotta”, superando i traumi del passato, che è possibile “creare spazi di riconciliazione e ripartenza”.

Anche per “L’uomo invisibile” valgono allora le parole che la traduttrice Laura Angeloni dedica a “Il lago”: Bianca Bellová elabora storie dense di “ferite e cicatrizzazioni, perdite e riscatti, brutalità e tenerezza”, di possibilità “di crescita e consapevolezza”.

Subscribe
Notify of
guest
0 Comments
Oldest
Newest Most Voted
Inline Feedbacks
View all comments