LEONID ANDREEV – “Lazzaro e altre novelle” – Passigli
“La traduzione del Rebora è un capolavoro, e noi in Italia non siamo abituati a lavori di tal serietà e finezza d’arte” (Piero Gobetti)
Novelle russe tradotte mirabilmente da un poeta italiano. Su tutte, “Lazzaro” e “Fantasmi”. Nella prima, l’indimenticabile e terribile figura dell’uomo tornato dalla morte, che non può più inserirsi nell’illusione della vita, che non può più scaldarsi e che diffonde intorno a sè l’orrore del vuoto in cui è stato. “…ma le parole, come se insieme col sole s’andasse eclissando anche la vita loro, divenivano pallide e vuote: come se vacillassero sulle gambe malferme, e scivolassero e procombessero, ubriache d’un vino di angoscia e di disperazione. E voragini nere si spalancavan fra esse – quasi ambigue illusioni all’immane vuoto, all’immane tenebra.”
La liricità e la sacralità della natura, l’infanzia solitaria di un bambino che deve cercare di decifrare la realtà e di sopravvivere coltivando i suoi sogni, la lotta epica tra il male e il bene, la giustizia e l’ingiustizia, il compiersi inevitabile della tragedia. Una materia difficile, scivolosa, da trattare con attenzione, che potrebbe trasformarsi in una storia patetica e moraleggiante. Ma non nelle mani di uno scrittore russo (in realtà nato in Kirghisia, quando faceva parte dell’Unione Sovietica) che indicava come suoi maestri Tolstoj, Cechov, Bunin, Gor’kij, Majakovskij, Solokov, Tvardovskij. Nelle sue mani, l’intimità e la solennità coincidono, la prosa diventa poesia.
“Non puoi neppure immaginare quanto profondamente si imprima in me tutto quello che dici. Le tue parole stesse sono come maestosi, quieti spazi nei quali edifichi ed innalzi qualcosa. Come potrò mai liberarmi dal ritmo misurato della malinconia che incede, sul quale hai costruito la tua visita, il tuo testamento? Volevo poi dirti che possiedo un orecchio interiore, una sorta di profonda attenzione, primigeniamente, eternamente all’erta, con la quale sono restato ad attendere tutta la vita, con la quale ho aperto centinaia di lettere e altrettanti incontri come fossero lettere. Voglio dire che mi sono venute incontro molte cose grandi, rare, pure e forse anche tali da arricchirmi e da ispirarmi. Ma appunto “incontro”. In questo caso, invece, si tratta di un tranquillamente maestoso “accanto”, tu sei in qualche modo parte di quella stessa entità che fa sbandare di qua e di là tutto il mio destino.”
Elogio della femminilità. I libri di queste donne russe che sono state al fianco dei loro uomini durante la loro vita, non all’ombra, al fianco, conducendo nello stesso tempo con passione e competenza il loro lavoro (Antonina Nikolaevna era ingegnere edile e si occupava, tra le altre cose, della realizzazione della metropolitana di Mosca), che hanno creduto insieme ai loro uomini che la rivoluzione potesse cambiare in meglio il loro mondo, che hanno vissuto con loro l’ingiustizia incomprensibile e la tragedia delle purghe staliniane, le efferate conseguenze del “culto della personalità” e che, infine, da sopravvissute, hanno continuato ad accudire, con la stessa cura, i figli e le opere dei loro uomini, sono tra le cose più preziose della mia libreria.
“Se non fosse per gli sterpi o le fraterne pazienti erbe simili a uomini infelici, la steppa sarebbe intollerabile; ma il vento vi porta il seme della moltiplicazione e l’uomo procede con il cuore pesante verso il comunismo.”
Troppe aspettative possono far male, ma solo seguendo le aspettative si trovano i tesori, è un rischio da correre. Non amo questo libro, nemmeno lo odio, non lo ricorderò e questo è tutto. Forse Druznikov avrebbe dovuto scrivere un saggio sulla situazione politica dell’Unione Sovietica negli anni ’60, sul controllo del potere politico sulla stampa, sulla mancanza di libertà, sulla menzogna e sulla propaganda, data l’enorme quantità di materiale, interessante e accuratamente proposto al lettore per ben 566 pagine. Perchè abbia scelto di scrivere un romanzo resterà per me un mistero.
Considero da sempre i russi inarrivabili narratori, narratori di razza, ma l’intento di Vojnovic di ripercorrere in un romanzo gli ultimi cinquanta anni della storia del suo paese con tutto quello che ciò implica, in termini di avvenimenti, ideologie, mutamenti economici e sociali, trasformazioni culturali mi faceva temere fortemente nella sua riuscita. Invece “Propaganda monumentale” è un bellissimo romanzo e, per me, una sorpresa confortante e la conferma che ancora è viva l’anima dei grandi romanzieri russi. Certo si potrebbe semplicemente attribuire la riuscita del romanzo al fatto che l’autore abbia opportunamente legato e reso unitaria una materia così vasta mediante la figura centrale di Aglaja con la sua incrollabile fede, ma anche vera e propria passione viscerale, per Stalin, poi per la sua memoria tenuta in vita dalla statua che assume un ruolo determinante in tutta la vicenda; oppure mediante la scelta di mantenere come luogo centrale dell’azione, attraverso il lento scorrere del tempo, la deliziosa e immaginaria cittadina di Dolgov, che i lettori vedono lentamente trasformarsi, senza però perdere le sue caratteristiche più peculiari e amabili. Questo fa parte del mestiere, o meglio, dell’arte del narrare.
Si potrebbe giudicare questo libro superfluo e non essenziale se lo si paragona alla grandezza della prosa del “Dottor Zivago” ed all’innegabile suggestione racchiusa nei versi di Pasternak. Il lettore può quindi inoltrarsi nell’opera dell’autore ed apprezzarla quanto merita, anche se privo di questo salvacondotto. Ma spesso è in ciò che a prima vista appare superfluo che si nascondono tesori inaspettati, sono quindi felice di aver letto queste pagine. Poiché, se è vero che l’opera, una volta prodotta, ha una sua vita autonoma, alla quale il lettore in qualche modo partecipa e alla quale contribuisce, è anche indubbio che per il vero appassionato di letteratura è di vitale interesse venire a conoscenza di quel vero mistero (e insieme miracolo) che è la storia della formazione di una voce poetica, dei percorsi attraverso i quali si è formata, delle passioni di cui si è nutrita, soprattutto all’origine, e degli incontri da cui ha tratto ispirazione. “Il salvacondotto” dà l’opportunità di apprendere tutto ciò dalla stessa voce di Pasternak: non si può quindi certo definire un’autobiografia nel senso più stretto del termine, quanto una riflessione pubblica, la presa di coscienza di uno scrittore che rievoca le proprie origini spirituali e culturali, e che permette ai lettori di ripercorrere insieme a lui le prime tappe del proprio percorso formativo.
“Ecco cosa significa l’esoterismo russo innaffiato di vodka!”
La trilogia “Lungo addio”, composta da tre romanzi brevi (“Lo scambio”, “Conclusioni provvisorie” e “Lungo addio”) costituisce una evoluzione del continuum narrativo di Trifonov che ha il suo inizio nel romanzo “La casa sul lungofiume”, l’opera più nota di uno di quegli scrittori russi degli anni ’60 che hanno testimoniato e denunciato nei loro scritti gli orrori dello stalinismo (l’autore stesso era figlio di un bolscevico vittima dei gulag staliniani). E’ quindi utile, per comprenderla pienamente, tornare a quella casa e al romanzo che la vede come simbolo, palcoscenico e protagonista. La casa sul lungofiume è un palazzo di Mosca abitato da funzionari medio-alti del partito e del governo, simbolo del terrore che caratterizzava la vita russa sotto Stalin.