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letteratura austriaca

Bernhard, “L’origine”

THOMAS BERNHARD – “L’origine” – Adelphi

Traduzione di Umberto Gandini

L’origine

Perché eleggere Bernhard a nume tutelare, a pietra di paragone, a irraggiungibile meta, perché sceglierlo come supremo ideale letterario, con tutto quello che l’aggettivo letterario significa per me. La prima più istintiva risposta è epidermica: sono stata quasi subito conquistata da uno stile che appare straordinariamente volitivo e “arrogante”, che sembra voler prendere le distanze dal lettore, che si propone di allontanarlo, estenuarlo, deluderlo, che non indulge a compromessi, che non conosce piaggeria. Ad ogni insistente ripetizione dello stesso concetto e delle stesse parole, ad ogni lunghissimo periodo che è variazione di quello precedente, B. sembra volersi scrollare di dosso i lettori, o, almeno, quelli non determinati.

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letteratura russa

Vojnovic, “Propaganda monumentale”

VLADIMIR VOJNOVIC – “Propaganda monumentale” – Garzanti

Considero da sempre i russi inarrivabili narratori, narratori di razza, ma l’intento di Vojnovic di ripercorrere in un romanzo gli ultimi cinquanta anni della storia del suo paese con tutto quello che ciò implica, in termini di avvenimenti, ideologie, mutamenti economici e sociali, trasformazioni culturali mi faceva temere fortemente nella sua riuscita. Invece “Propaganda monumentale” è un bellissimo romanzo e, per me, una sorpresa confortante e la conferma che ancora è viva l’anima dei grandi romanzieri russi. Certo si potrebbe semplicemente attribuire la riuscita del romanzo al fatto che l’autore abbia opportunamente legato e reso unitaria una materia così vasta mediante la figura centrale di Aglaja con la sua incrollabile fede, ma anche vera e propria passione viscerale,  per Stalin, poi per la sua memoria tenuta in vita dalla statua che assume un ruolo determinante in tutta la vicenda; oppure mediante la scelta di mantenere come luogo centrale dell’azione, attraverso il lento scorrere del tempo, la deliziosa e immaginaria cittadina di Dolgov, che i lettori vedono lentamente trasformarsi, senza però perdere le sue caratteristiche più peculiari e amabili. Questo fa parte del mestiere, o meglio, dell’arte del narrare.

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letteratura serba

Colic, “I bosniaci”

VELIBOR COLIC – “I bosniaci” – Giunti

“Verrà il tempo di un popolo mansueto,

Che avrà onore, ferite e tristezze in abbondanza,

Un popolo che avrà un potere più grande eppure magnanimo,

E avrà pianura e mare, libri e angeli…

                                                  

Verrà il tempo di un popolo mansueto,

Che avrà il cimitero più grande, e la più grande testa,

il vento e il buio,

Di un popolo disperso, che vivrà a lungo

al nord e al sud, dentro la falce di luna…”

(VESELKO KOROMAN, poeta bosniaco)

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letteratura rumena

Celan – Bachmann, “Troviamo le parole”

PAUL CELAN, INGEBORG BACHMANN – “Troviamo le parole” – Edizioni Nottetempo

“Ci sono giorni in cui vorrei soltanto andare via e venire a Parigi, sentire come tu afferri le mie mani e mi tocchi con i fiori e di nuovo non sapere da dove vieni e dove vai. Per me tu vieni dall’India o da un paese ancora più remoto, scuro, bruno, per me tu sei il deserto e il mare e tutto quanto è mistero. Ancora non so nulla di te e per questo ho paura per te, non riesco a immaginare che tu debba fare le stesse cose che facciamo qui noi altri, dovrei avere un castello per noi e portarti da me, perchè lì dentro tu possa essere il mio incantato Signore, tappeti molti avremo e musica e inventeremo l’amore”.

(Ingeborg Bachmann a Paul Celan, Vienna, 24.6.1949)

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letteratura serba

Kovac, “La città nello specchio”

MIRKO KOVAC – “La città nello specchio” – Zandonai

Ora che si è sedimentato nel ricordo della lettura, mi appare chiaro che questo libro di Kovac mi parla con due voci: una è quella dello scrittore che ricerca e rievoca le sue radici attraverso ricordi, visioni, illusioni, interpretazioni a posteriori di eventi e incontri (“con uno stile rapsodico”, “elaborando una poetica balcanica”, come recita la quarta di copertina, che accomuna l’autore a Andric e Kis); l’altra è quella dello scrittore che, sospendendo la narrazione, interviene, approfittando, sembra, dell’attenzione che è riuscito ad ottenere, per rivolgersi direttamente al lettore e per comunicargli quello che evidentemente nel corso degli anni è venuto in lui maturando riguardo alla scrittura e allo scrivere.

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letteratura inglese

Lowry, “Sotto il vulcano”

MALCOLM LOWRY – “Sotto il vulcano” – Feltrinelli

Il Console, questo personaggio inevitabilmente e perdutamente amato dai lettori di Lowry, è il protagonista di una tragedia che si preannuncia nelle prime pagine del libro e che si compie rapidamente nelle ultime. Quello che è richiesto e imposto al lettore da uno stile trascinante e lussureggiante è di seguire il succedersi degli eventi che si snodano lenti, che indugiano, che rallentano fino a fermarsi per dar luogo a splendide divagazioni. Quello che è chiesto al lettore è di condividere lo sguardo ubriaco del Console sul mondo, sulla realtà, uno sguardo di volta in volta lucidissimo o visionario, disperato, rassegnato o, persino, ingenuo. La strada, amarissima, verso la disillusione è costellata da momenti di rara intensità emotiva e lirica.

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letteratura italiana

Zoderer, “L’Italiana”

JOSEPH ZODERER – “L’Italiana” – Arnoldo Mondadori Editore

Zoderer ha scritto un romanzo che ha come protagonista l’estraneità, il senso della non appartenenza, l’isolamento al limite della totale segregazione, che appare tanto più irrimediabile quando viene avvertito in opposizione, in contrasto, alla socialità, alle reti di relazioni, apparentemente facili e “naturali”, in cui gli altri sembrano essere immersi. Zoderer ha scritto un romanzo che è nostalgia di quell’”heimat”, quella casa, quel luogo natìo, quel territorio in cui ci si sente a casa proprio perché vi si è nati, vi si è trascorsa l’infanzia, o vi si parla la lingua degli affetti. La protagonista di “L’italiana” sperimenta lo sradicamento di chi non possiede neppure questa nostalgia ed è in grado solo di capire razionalmente il significato dell’heimat, ma non di sentirlo emozionalmente.

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letteratura italiana

Biamonti, “L’angelo di Avrigue”

FRANCESCO BIAMONTI – “L’angelo di Avrigue” – Einaudi

“Una luce radente spianava il mare e lo sollevava nelle insenature; anche al largo esso si alzava sino a cozzare contro il cielo. Un altro mare, d’ombra, scendeva dalle catene rocciose”.

“Gli alberi…se lo sguardo potesse fermarvisi, sarebbero di nuovo un austero approdo in confronto a quel mare alto e muto come un cielo”.

“La collina era irruvidita nel lungo tramonto. La notte non riusciva a toccare gli ulivi soprani trasformati in vaste farfalle nere. Era arrivata una di quelle tristissime sere in cui sul mare si sentiva lo stridio del ferrame”.

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letteratura polacca

Conrad, “Vittoria”

JOSEPH CONRAD – “Vittoria” – TEA

Questo non è uno dei libri più famosi e conosciuti di Conrad, ma egli afferma di aver cercato di riversare in “Vittoria” l’essenza della vita più che in qualsiasi altro suo romanzo. E quindi, riemergendo dal fascino ipnotico delle atmosfere esotiche, dallo straniamento imposto dai ritmi dilazionati del racconto, dallo sconcerto provocato dalla improvvisa accelerazione con cui la tragedia, prevista e attesa fin dalle prime pagine, infine si compie, ritengo sia una forma di doveroso omaggio all’”Immenso Conrad” (la definizione è di Michele Mari) il tentativo di scoprire tale essenza, o almeno, di individuarne alcune tracce. Nel racconto “Otto scrittori” (in “Tu, sanguinosa infanzia”), sempre Mari, rivolgendosi a Conrad, dice: “Forse mi sto sbagliando, ma dalle vostre storie io credo di aver capito che se il naufragio delle illusioni è drammatico, vivere tutta la vita nell’illusione è patetico: e voi non siete uno scrittore patetico, voi siete un meraviglioso scrittore drammatico”. L’essenza della vita, quindi, come naufragio delle illusioni.

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letteratura sudafricana

Coetzee, “Vergogna”

J. M. COETZEE – “Vergogna” – Einaudi

Vergogna e disonore. Che cosa è così vergognoso nella vicenda raccontata da Coetzee, che cosa è irrimediabile e imperdonabile al punto da non poter essere cancellato neppure dal più sincero pentimento? In questo bellissimo romanzo vergogna sociale e individuale si fondono, si motivano, si sostengono e, come in un circolo vizioso, non indicano una possibile via d’uscita, un’altra strada percorribile. Bisogna vergognarsi di aver creato un mondo (in questo caso il Sudafrica post-apartheid) dove vivere è pericoloso, dove bisogna difendersi dall’aspirazione alla vendetta, dall’odio atavico di chi ha ereditato il senso dell’ingiustizia e dell’oppressione dalle generazioni precedenti; bisogna vergognarsi di aver creato una società perbenista, pronta a gridare allo scandalo, che dello scandalo si nutre, che sembra godere dell’umiliazione altrui; bisogna vergognarsi dell’esistenza di tutte quelle famiglie “esemplari” che accolgono il reprobo, solo per vederlo inchinarsi di fronte alla loro perfezione con occhi attoniti e scostanti. E poi c’è lui, David Lurie. Di che cosa dovrebbe vergognarsi? Certo, di aver adescato una sua giovane studentessa. Ma dopo le prime pagine diventa sempre più evidente che per Coetzee questo episodio è solo un pretesto.

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