Antonio Moresco – La lucina – Mondadori
“E io qui, seduto su questa seggiola di ferro che sprofonda sempre più nel terreno, in questo posto fuori dal mondo, a una simile distanza da tutto e dallo spazio e dal tempo e dalla mia vita e dalla mia morte…”
Potrei facilmente definire questo libro di Moresco commovente, ma la pura e semplice commozione è solo un effetto epidermico che non rende tutto il merito che è dovuto a questa splendida scrittura, disadorna, arresa e feconda. A che cosa parla, che cosa sommuove questa breve e intensa narrazione? Quali profondi pertugi nascosti, negati o volutamente dimenticati illumina questa lucina, lontana ma ben visibile e persistente? Quello che smuove e tiene avvinto a sé, costringendo il lettore a procedere in una sorta di dolorosa fascinazione, non ha a che fare con il cuore, così pronto a battere in sintonia con tutto ciò che lo sollecita, ma così altrettanto pronto a dimenticare per inseguire altri e più soddisfacenti stimoli. La narrazione di Moresco – questo a me appare come uno dei suoi segni distintivi – attraversa i sentimenti in profondità, li presuppone, come un accessorio non evitabile dell’esistenza, riserva loro uno sguardo affettuoso e persino grato, lo sguardo di un saggio, forse di un asceta, ma li abbandona in superficie in questo suo viaggio che punta diretto al senso profondo delle cose, o meglio alla domanda testarda sull’inesistente senso delle cose. Le cose ultime, quindi la vita e la sua fine.