RENE CREVEL – La morte difficile – Einaudi
“Tutto quanto è affogato in una morbida lava e Pierre intuisce che la morte è il punto, nello spazio e nel tempo, dove confluiscono per distruggersi fra loro, a vicenda, gli sguardi, di persone, cose, istanti, luoghi, gesti, rimorsi, gioie, speranze, rabbie, urla, lacrime, risa. E ci rimane solo un buco più bianco del bianco, più nero del nero”.
“La morte difficile” è una ferita aperta e si legge con quel misto di istintiva cautela, di compassione e di impotenza che si proverebbe al cospetto della carne viva, quella di una lesione irreparabile. Una ferita che non può e, soprattutto, non vuole guarire; tanto aperta che nemmeno lo schermo della letteratura riesce in qualche modo a curare – chè questo non è mai il suo scopo – o a rendere almeno sopportabile, nonostante tutto il suo repertorio di incantamenti, trucchi, depistaggi, nonostante la fantasmagoria dei suoi giochi. “La morte difficile” è una ferita aperta su un corpo giovane, segnato all’origine da una macchia infamante che lo condanna a volerla ripetere e scontare per tutta la vita, che diventa così la difficile attesa della morte o la scelta, più facile, di anticiparla, di sceglierla.