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letteratura svizzera

Max Frisch, “L’uomo nell’Olocene”

MAX FRISCH – L’uomo nell’Olocene – Einaudi

l'uomo-nell'olocene“10.00. Pioggia come ragnatele sopra il terreno.

11.30. Pioggia come silenzio; non un uccello che cinguetti, in paese non un cane che abbai, i taciti rimbalzi in ogni pantano, le gocce in lenta scivolata lungo i fili.

13.00. Pioggia che non si vede, solo la si sente sulla pelle quando si sporge la mano dalla finestra.

17.30. Pioggia con vento che la fa schioccare contro i vetri delle finestre, fuori spruzzi sul tavolo di granito che è diventato nerastro, gli spruzzi come narcisi bianchi”.

Una scrittura trattenuta e purissima sostiene un romanzo che è in definitiva la cronaca di una dissoluzione, estrema, come può esserlo quella di una mente umana che, mentre il corpo è ancora tenacemente vivo, lo precede sulla strada che al nulla conduce. Dissoluzione, dimenticanza e perdita diventano nella penna straordinariamente felice di Frisch – straordinariamente a mio parere, chè non l’ho ritrovata tale in altri suoi scritti – materia viva di una mirabile costruzione narrativa. Percorrere la lenta discesa cosciente verso l’inconsapevolezza di sé usando la parola letteraria che per sua natura sollecita e crea ciò che fino ad un attimo prima non esisteva, non almeno a quella stessa intensità e con quella stessa necessità, è arte ardua e irta di pericoli perché troppo allettante è la tentazione di scadere nel patetico, di fare appello alla paura estrema della perdita di controllo su di sé e sulle proprie facoltà che è terrore supremo e da tutti condiviso, lettore ovviamente compreso. E invece Frisch si rivela in queste pagine maestro di rigore e di equilibrio, di delicatezza e dignità, procedendo con quella levità di superficie, pietosa e persino poetica nel dare valore a tutto ciò che la lenta dissolvenza ancora permette di cogliere del reale, ma trasparente nella sua capacità di convivere in ogni momento con la profondità del dramma umano di cui è chiamata a rendere conto.