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letteratura italiana

Vitaliano Trevisan, “Works”

VITALIANO TREVISAN – Works – Einaudi

TREVISAN Works“… tutto ciò che so di me è solo ciò di cui ho le prove; il resto è melanconia”.

Da tempo mi chiedevo che fine avesse fatto Vitaliano Trevisan; della prima ipotetica risposta che mi davo non voglio parlare, la seconda – che ritenevo probabilissima e in qualche modo in linea con l’idea che nel tempo mi sono progressivamente costruita di lui in quanto “cosiddetto” scrittore – è che avesse semplicemente smesso di scrivere – mi correggo: di pubblicare – la terza è che stesse lavorando ad una scrittura in qualche modo più “diffusa”, a qualcosa di sorprendente e insieme dirompente, qualcosa di inaspettato per il lettore che non perde il vizio di aspettarsi qualcosa di prevedibile persino dagli scrittori con cui si sente più in sintonia e che legge con più piacere, qualcosa di generosamente dilatato, per ciò che attiene al tempo della scrittura da un lato e della lettura dall’altro, che potrei definire esplicito se avessi la sicurezza che qualcosa di esplicitabile sia davvero possibile. “Works”, come l’autore stesso precisa al termine dell’opera,  iniziato a Berlino nel dicembre del 2010 e terminato nel marzo del 2015 a Campodalbero – più precisamente  “contrà Molino di Campodalbero”, un gruppo di case con appena tre abitanti, uno dei quali è lo stesso Trevisan, collocato sulle pendici dei Monti Lessini, come apprendo da un articolo pubblicato da Maurizio Crosetti su “La Repubblica”, dal titolo “Come Chaplin vi svelo cos’è davvero il lavoro” –  è la riconferma del fatto che questa terza ipotesi era quella meno lontana dalla realtà.

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