FRANCESCO M. CATALUCCIO – “Vado a vedere se di là è meglio” – Sellerio
Conoscevo Francesco Cataluccio per aver letto due suoi scritti: “La guerra come claustrofobia”, postfazione a “L’ospedale dei dannati” di Stanislaw Lem, e “Maturare verso l’infanzia. Introduzione a Bruno Schulz”, lo scritto che conclude l’edizione Einaudi del 2001 de “Le botteghe color cannella”, da lui curato. Ho iniziato quindi a leggere con molte aspettative questo suo libro, irresistibilmente attirata, tra l’altro, dal bellissimo sottotitolo “Quasi un breviario mitteleuropeo”. Mi sono concessa il lusso del tempo, della rilettura in itinere, perché solo dopo poche pagine mi sono resa conto di aver trovato una formidabile guida per le mie future letture, o meglio, di aver trovato colui che mi faciliterà il compito di comporle, collegarle, riordinarle in un quadro che le renderà ancora più significative.
Cataluccio è un ottimo accompagnatore per chi si accinge ad iniziare il suo viaggio nella letteratura dell’Europa centro-orientale del Novecento e, inevitabilmente, nella cultura ebraica, o, come nel mio caso, per chi vuole continuare questo viaggio, ma teme di tralasciare per colpa della fretta o della distrazione, proprio ciò che cerca. Cataluccio è un ottimo compagno per chi sa di essere un viandante della Letteratura. Ma con un compagno di viaggio bisogna essere in sintonia: nelle prime pagine di questo libro ho ritrovato due prove di una profonda consonanza (poi non ho più avuto bisogno di prove): il viaggio conduce in un mondo cancellato, scrive Cataluccio “che rimane solo nelle foto (come quelle che, dal 1934 al 1939, scattò Roman Vishniac), nei ricordi o nella letteratura”. “A Vanished World” di Vishniac, che ho cercato e recuperato grazie alle magie della rete, resta uno dei più preziosi tesori della mia libreria, a ricordare che verso quel mondo non bisogna provare nostalgia, ma rimpianto, per tutto quello che se n’è andato con lui. Ovviamente al rimpianto si accompagna l’orrore, perché in questo viaggio si incontra il male assoluto. Quando ho ritrovato, a pag.55, il riferimento ai nove terrari di “Fucking Hell” di Jake e Dinos Chapman, che anch’io ho potuto ammirare (non è però il verbo giusto) alla Punta della Dogana a Venezia e che non ho più potuto scordare, ho definitivamente capito l’importanza che questo libro ha per la mia esperienza di lettrice. Leggendo queste pagine ho però dovuto lottare contro una crescente sensazione di vertigine, una sorta di sindrome di Stendhal letteraria, per la mole di personaggi, citazioni, opere e persino note (un apparato ricchissimo) in cui Cataluccio fa immergere il lettore, senza soste o remissioni. Si ha quasi paura di tralasciare, o peggio, dimenticare. Ho superato questo rischio soltanto armandomi di carta e penna, prendendo appunti, studiando, tracciandomi i percorsi dei futuri viaggi che farò, evidenziando i collegamenti tra le mie letture passate e quelle future. Questo è un libro che lascia al lettore attento un immenso regalo, il valore aggiunto della consapevolezza della ricchezza, e le indicazioni per raggiungerla. Un’ultima considerazione: oggi che la cortina di ferro non esiste più, che non esiste censura, che la circolazione della cultura è libera, l’editoria dovrebbe fare attenzione al rischio dell’oblio. C’è una sovrabbondanza di visibilità per chi segue le regole del mercato, per il libro-prodotto, di pronto consumo, il rischio dell’oblio per chi si ostina a considerare la letteratura estranea alle logiche del mercato. Dice Cataluccio parlando di Josif Brodskij: “Brodskij ci ha lasciato delle bellissime poesie russe, degli straordinari saggi in inglese, ma soprattutto una grande lezione sul valore salvifico della letteratura: – Poiché non sono molte le cose in cui riporre le nostre speranze di un mondo migliore, poiché tutto il resto sembra condannato a fallire in un modo o nell’altro, dobbiamo pur sempre ritenere che la letteratura sia l’unica forma di assicurazione morale di cui una società può disporre; che essa sia l’antidoto permanente alla legge della giungla…- Certo, queste parole possono suonare stonate in un mondo in cui l’unica letteratura ormai riconosciuta è quella che sbaraglia le classifiche e distrae i lettori e la poesia è spesso un bla bla narcisistico”. Un grande libro.
E’ il primo libro di Francesco Cataluccio che ho letto ( poi ho comprato tutti gli altri ) E’ un approccio interessante il suo. Ti concede di entrare non solo in una dimensione letteraria ma anche in una temporale e spaziale. E’ una guida intelligente, colta, discreta. Attraverso i suoi libri ho iniziato anch’io a leggere autori a me prima ignoti, penso, per esempio a Gombrovich. Ho avuto anche la fortuna di incontrarlo in occasione di un piccolo convegno sulla letteratura dell’Est che anni fa si tenne nella cittadina in cui vivo. Un uomo garbato e appassionato, molto lontano dal prototipo dell’accademico..
Ciao! Ho appena scoperto il tuo bel blog; mi permetto di arricchire la mia lista dei blog preferiti…
Ciao!
Giacinta
p.s.
errata corrige :
Gombrowicz
( non è la prima volta e non sarà l’ultima.. 🙂
Grazie Giacinta, grazie per la visita e per l’apprezzamento. Sono completamente d’accordo con te riguardo a Cataluccio. Noi lettori abbiamo bisogno di questi critici che sanno essere anche scrittori, che sanno affascinare e un po’ irretire, oltre naturalmente ad informare e a tracciare delle direttive. Abbiamo bisogno di costellazioni che riuniscano le stelle isolate in cui per avventura incappiamo. Anche a me piacerebbe sentirlo e magari comunicargli la mia gratitudine. Un caro slauto. Anna