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letteratura americana

Hawthorne, “La lettera scarlatta”

NATHANIEL HAWTHORNE – “La lettera scarlatta” – Rizzoli

E’ lo stesso Hawthorne a dare un consiglio ai suoi lettori: avvicinarsi al suo romanzo “nella limpida, bruna atmosfera crepuscolare in cui fu scritto: se lo aprite alla luce del sole, potrà parervi tale e quale un volume di pagine bianche”. Chissà, forse perché, come afferma alla fine del primo capitolo, “… questo è un racconto di umana debolezza e di umano dolore” e la debolezza e il dolore hanno sempre origini e spiegazioni complesse e, forse, vanno avvertiti emozionalmente più che compresi lucidamente. Resta il fatto che le pagine di questo libro (indipendentemente dall’ora del giorno in cui lo si legge) rimangono impresse nella mente del lettore, come la lettera scarlatta sul petto di Esther Pryme.

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letteratura russa

Shishkin, “Lezione di calligrafia”

MIKHAIL SHISHKIN – “Lezione di calligrafia” – Voland

E’ di grande conforto per il lettore aver accesso all’opera di uno scrittore russo contemporaneo (Shishkin è nato a Mosca nel 1961) che testimonia tutta la vitalità di una tradizione letteraria capace di affondare le radici nel suo glorioso passato, di utilizzarne appieno l’eredità, acquisendo contemporaneamente tutta la consapevolezza moderna del valore essenziale che la scrittura ha in se stessa, della sua capacità di essere scopo, ragione, significato e “figura” della vita.  Shishkin offre in questo libro, tramite la sua struttura bipartita, un testo che si potrebbe definire di “metaletteratura”, una sorta di “metafisica della scrittura” (“Lezione di calligrafia”) e, successivamente, la sua messa in opera, la sua dimostrazione pratica, nel romanzo vero e proprio (“Memorie di Larionov”). Dalla Prefazione di Emanuela Bonacorsi apprendiamo che “Lezione di calligrafia” costituisce l’ouverture di tutta la produzione dell’autore, la sua opera prima, quella che mostra il DNA sperimentale e innovativo alla luce del quale tutti i suoi romanzi successivi, dall’apparente impianto tradizionale, vengono illuminati, acquisendo un più ampio respiro.

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letteratura inglese

De la Mare, “La tromba”

WALTER DE LA MARE – “La tromba” – Sellerio

Non so se mi capiterà ancora di incontrare un libro di Walter De la Mare e la sua “sussurrata malìa che lascia libero accesso ai fantasmi della mente” (sembra che così Eliot definisse la sua arte), ma so che questo racconto, così ricco nella sua brevità, così intenso e insieme controllato (cosa rara), testimonianza della grande perizia del suo autore, ma anche della sua capacità di sollecitare la collaborazione del lettore, addirittura la sua presenza nell’oscurità del luogo in cui tutto ciò che è grottesco, misterioso e infine tragico si compie, non me lo dimenticherò. Dal punto di vista narrativo, De la Mare mi appare come un grande maestro nell’arte di accentuare la tensione, mediante il rinvio, la dilazione e la divagazione, nella capacità cioè di disperdere i meccanismi narrativi, di usarli come ferri del mestiere ma di tenerli celati in un magazzino che non è aperto al pubblico.

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letteratura ceca

Vaculik, “Le cavie”

LUDVIK VACULIK – “Le cavie” – Garzanti

“Le cavie” è l’opera letteraria amarissima ma insieme acuta, scanzonata ed estremamente intelligente di uno scrittore del dissenso, emarginato dalla vita culturale del suo paese dopo la violenta repressione della Primavera di Praga ad opera delle truppe sovietiche. L’opera di un intellettuale e giornalista fondamentalmente politico (non a caso, dopo il crollo del regime comunista, nel 1990, ricoprirà, anche se per pochi mesi, la carica di viceministro degli Interni della Repubblica Ceca) che, nelle sue pagine, non può fare a meno di riflettere sui comportamenti dell’uomo quando, più o meno volontariamente, si trova a dover interagire con i suoi simili, che verifica tali comportamenti in situazioni diverse, che li raffigura e li descrive dopo averli osservati in modo apparentemente distaccato, senza ombra di coinvolgimento emotivo, giungendo persino a punte di perversa crudeltà.

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letteratura tedesca

Jahnn, “La nave di legno”

HANS H. JAHNN – “La nave di legno” – Archinto

“Quasi fosse uscita dalla nebbia, si rese d’un tratto visibile la bella nave.” Inizia così, con un incipit sincopato e maestoso questa favola marina che è dramma del destino. E il respiro si prepara ubbidiente a seguire il ritmo di un linguaggio denso e preciso, mentre la mente, l’anima e la fantasia si predispongono alla partenza per un lungo e incerto viaggio per mare. Ogni vero lettore sa bene quale sia il fascino dei romanzi ambientati sul mare, ce l’hanno insegnato Stevenson, Melville e Conrad e molti altri, ci hanno insegnato che l’avventura, quando si svolge sul mare, assume molteplici sfumature, fa vibrare le corde più nascoste dell’anima, allude alle più segrete oscurità del cuore, alle paure ancestrali, racchiude significati profondi, sollecita il senso del mistero e dell’orrore. Jahnn attinge a questa tradizione letteraria per farla sua, stravolgerla, reinterpretarla, creando una macchina narrativa a suo modo perfetta, cioè perfettamente rispondente alla sua logica interna, per iniziare a scrivere l’immensa opera della sua maturità. “La nave di legno”, pur essendo un romanzo perfettamente compiuto, rappresenta infatti il prologo della lunghissima trilogia “Fiume senza sponde” e Gustav Anias Horn, il giovane che qui vediamo immerso nello sconcerto di un’inquietante avventura giovanile, è il futuro compositore protagonista del romanzo conclusivo dell’opera di Jahnn.

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letteratura russa

Nijinsky, “Diari”

VASLAV NIJINSKY – “Diari” – Adelphi

“Mi hanno detto che sono pazzo. Io pensavo di essere vivo.”

Questi “Diari” racchiudono i pensieri, i sentimenti, le ossessioni e i deliri di uno dei più grandi ballerini di tutti i tempi, l’anima e il cuore dei Balletti Russi di San Pietroburgo. In questa edizione integrale sono pubblicati i primi due quaderni, intitolati da Nijinsky “Vita” e il terzo, intitolato “Morte” (il quarto, contenente solo poesie e lettere, non è qui riprodotto). E’ doveroso accingersi alla lettura di queste pagine rinunciando alla pretesa di poter giudicare il loro valore letterario (anche se contengono richiami alla letteratura e spesso suscitano nel lettore echi e suggestioni letterarie), senza però provare la sensazione di penetrare indebitamente nel mondo personale e segreto del loro autore, perché, fin dalle prime righe, appare chiaro che Nijinsky scriveva, anche se in modo ossessivo, compulsivo e incalzante, perché voleva essere letto, con l’intento chiaramente espresso di pubblicare e quindi di rendere accessibili a tutti i suoi scritti. I quaderni sono stati redatti fra il 19 gennaio e il 4 marzo 1919, mentre Nijinsky si trovava con la famiglia in Svizzera. Qui verrà sottoposto a numerose visite e successivamente ricoverato in vari ospedali psichiatrici, per una forma di schizofrenia, dove rimarrà rinchiuso fino alla morte, avvenuta a Londra nel 1950.

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letteratura austriaca

Zweig, “Sovvertimento dei sensi”

STEFAN ZWEIG – “Sovvertimento dei sensi” – Corbaccio

Ogni volta che mi imbatto in una pagina di Stefan Zweig mi scopro nuovamente immersa nel fascino del suo stile un po’ aulico, ma innegabilmente efficace, irretita nelle sue abilissime costruzioni avvincenti di drammi interiori che agitano le anime di personaggi borghesi e agiati, senza d’altra parte apparentemente condurre a mutamenti decisivi nel loro stile di vita. Non stento allora a credere che negli anni Venti e Trenta del Novecento Zweig sia stato uno degli scrittori in lingua tedesca più conosciuti e più tradotti. Un autore brillante quindi, di successo, definito così da Ladislao Mittern nella sua “Storia della letteratura tedesca”: “Superficialissimo divulgatore, riuscì col suo stile brillante e sempre facile a essere l’autore prediletto della vastissima massa di lettori semicolti desiderosi di completare e specialmente di aggiornare la loro cultura”. Un giudizio impietoso, che trova molte voci concordi tra letterati contemporanei all’autore. Ma, innegabile, il fascino dei suoi racconti, almeno per me, rimane.

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letteratura austriaca

Roth, “Fuga senza fine”

JOSEPH ROTH – “Fuga senza fine” – Adelphi

Dalla quarta di copertina, un consiglio di lettura irresistibile:

 “…abbandonatevi al corroborante piacere di ascoltare il più intelligente, il più leggero, il più penetrante racconto della Distruzione inventato tra le Due Guerre”. (Alfredo Giuliani)

 Capita, raramente ma a volte capita, di imbattersi nella quarta di copertina di un libro a lungo atteso, in una parola illuminante che sia nello stesso tempo guida alla lettura e progressiva conferma, se non addirittura superamento, delle proprie aspettative. Nel caso di questo straordinario racconto, questa parola è per me “distruzione”. Conosco Roth come cantore di un mondo ai suoi epigoni, ma mai come in questo testo, mi è apparsa evidente la sua capacità di trasmettere al lettore la poesia della fine. Perchè è sull’orlo della dissoluzione che per un attimo, un breve attimo si può cogliere tutta la portata e la potenzialità dello straniamento, lo sguardo sul mondo agli epigoni diventa rivelatore, persino cantore di questo mondo, a cui si può guardare con ironia, ma anche con affetto complice, con comprensione e con crudeltà, o, persino, con la curiosità del cronista.

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letteratura russa

Šalamov, “I racconti di Kolyma”

VARLAM ŠALAMOV – “I racconti di Kolyma” – 2 vol, Einaudi

“Ogni mio racconto è uno schiaffo allo stalinismo”, così nel 1971 Varlam Salamov definiva la sua opera principale. I racconti di Kolyma sono una tragica testimonianza sui gulag sovietici, su “quello che nessun uomo dovrebbe vedere né sapere”.

La Kolymaè una desolata regione di paludi e ghiacci all’estremo limite nord-orientale della Siberia. Qui l’estate dura poco più di un mese; il resto è inverno, caligine, gelo fino a sessanta sotto zero. Laggiù, dalla fine degli anni Venti del Novecento, alcuni milioni di persone vennero deportate per volontà di Stalin e sfruttate, in condizioni ambientali disumane, a fini produttivi: scavi nei giacimenti d’oro, costruzione di strade, disboscamenti e raccolta di legname. Salamov arrivò in quel “crematorio bianco” nel 1937 e vi rimase fino al 1953. Nel 1954, subito dopo il ritorno a Mosca, cominciò a scrivere questi racconti, ovvero a “vivere non per raccontare ma per ricordare”. La sua opera è un monumentale mosaico contro l’oblio, una sorta di poema dantesco sulla vita e sulla morte, sulla forza del male e del tempo. L’arrivo sull’”isola Kolyma”, la casistica dei vari tipi di carcerieri, i luoghi e le condizioni del lavoro forzato, la natura ostile e carica di significati simbolici sono le linee portanti di una creazione poetica che è anche analisi di uno spietato fenomeno antropologico: “con quale facilità l’uomo si dimentica di essere un uomo” e, se posto in condizioni estreme, rinuncia alla sottile pellicola della civiltà.

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letteratura turca

Pamuk, “Il mio nome è rosso”

ORHAN PAMUK – “Il mio nome è rosso” – Einaudi

“Raccontate, maestro, la sensazione del rosso a chi non l’ha mai visto”. “Se lo toccassimo con la punta delle dita, avremmo una sensazione di qualcosa tra il ferro e il rame. Se lo prendessimo in mano, sentiremmo bruciare. Se lo afferrassimo, lo sentiremmo pieno come un pezzo di carne salata. Se lo prendessimo in bocca, la riempirebbe. Se lo annusassimo, avrebbe l’odore del cavallo. Se profumasse di fiori, sarebbe simile alla margherita, non alla rosa rossa”.

Orhan Pamuk, Premio Nobel per la Letteratura 2006, è nato ad Istanbul nel 1952. E’ un narratore noto e tradotto da anni in tutto il mondo. Ha vinto numerosi premi, tra cui il Premio Grinzane Cavour e l’International IMPAC Dublin Literary Award. Ha ricevuto inoltre a Francoforte il prestigioso Premio per la pace 2005. Si è recentemente parlato di lui per il processo (poi sospeso) che lo vedeva accusato nel suo paese di denigrazione dell’identità nazionale, per avere scritto del genocidio degli Armeni perpetrato dai Turchi durante la prima guerra mondiale.