LADISLAV FUKS – Una buffa triste vecchina – Garzanti
“Passò la sera, passò la notte, e giunse il mattino. Il mattino dell’ultimo giorno del mese di ottobre, l’antivigilia della festa dei Morti, il giorno della festa di stato, compleanno della principessa vedova regnante Augusta. Che cosa abbia fatto la signora Mooshabrová, non si sa. Forse si preparò un po’ di kaša di avena. Forse controllò anche le trappole dietro il canapè, dietro la credenza, dietro la cucina economica, anche nell’ingresso, nella dispensa e in camera, benchè sia evidente che non impiegò tutta la mattinata per farlo. Forse buttò i topolini nel bidone per i rifiuti che stava in fondo alle scale del caseggiato, sotto la finestra smerigliata della cucina, ammesso che quella notte qualche topo fosse rimasto in trappola, poi mise nuovi pezzetti di lardo, anche se non lo faceva senz’altro tutte le mattine e forse, quella mattina, non fece proprio niente di tutto questo”.
Pubblicato nel 1970, “Una buffa triste vecchina” è il quarto romanzo uscito dalla penna di un autore ceco decisamente prolifico, portato all’attenzione dei lettori italiani grazie alla meritoria opera culturale di Angelo Maria Ripellino. E’ lui infatti a far pubblicare presso Einaudi nel 1972 il secondo romanzo di Fuks. “Il bruciacadaveri”, tradotto dalla moglie Ela Hlochova. Per una strana e fortunata coincidenza, nello stesso anno, presso Garzanti, esce anche la traduzione italiana del presente romanzo – il cui titolo suonerebbe letteralmente “I topi di Natalie Mooshabrová” – ad opera di un’altra nostra scrittrice e slavista d’eccezione, allieva dello stesso Ripellino, Serena Vitale. Bisognerà attendere il 1997 per poter leggere nella nostra lingua, sempre presso Einaudi, il primo romanzo di Fuks, “Il signor Theodor Mundstock”, scritto nel 1963. Poi, il silenzio; che io sappia, nessuna delle altre numerose opere narrative, romanzi e raccolte di racconti, dello scrittore ceco sono uscite in Italia. Ed è un vero peccato perché già in questi primi tre romanzi è possibile ravvisare il piglio potente del narratore di razza, il farsi e dispiegarsi di uno stile personalissimo che affonda le proprie radici nella chiave ironico grottesca, ma che poi germoglia, fecondo e sorprendente, avventurandosi verso direzioni imprevedibili.